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GianMaria Zapelli elsewhere

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Demolire per dire io

Demolire per dire io

I bambini a un certo punto della loro crescita si cimentano con la distruzione, con gli oggetti che fanno cadere a terra, che spaccano o rompono. È in corso un apprendimento, una sperimentazione della propria libertà. Apprendono le leggi del mondo – la gravità fisica -, ma anche la gravità psicologica che separa e tiene lontani. Apprendono i confini della propria individuazione, di poter distruggere senza venire distrutti, di poter cancellare senza venire annientati. Imparano ad essere forti attraverso la demolizione. Demoliscono per imparare di essere io, distinto e individuato. Imparano anche quando non è loro consentito, i limiti di ciò che possono.

Non che da adulti cessi del tutto questa strategia di individuazione. Tutt’altro. Persiste un’opera dedicata alla demolizione, anzi, si arricchisce anche di altre ragioni e di altre provenienze psicologiche. Così, si demolisce per timore di venir demoliti, si demolisce per desiderio di mutare rotta, come pure si demolisce sentendosi aggrediti.

Ma pur potrebbe rimanere traccia della funzione identitaria offerta dall’atto distruttivo, per rinnovare e rivivere un sentimento di libertà, di separazione come necessità di percepire i propri confini, la propria distanza, la propria libertà. Spazio che si prende, sottratto all’influenza degli altri, all’adeguamento agli altri. Ancora da adulti si potrebbe essere affascinati dalla demolizione per l’ebbrezza che consente, di frantumare senza frantumarsi, semmai erigersi intatti e solidi sopra i cocci.

Forse anche come difensiva reazione inconscia, quando si è assaliti da una difficoltà, quando si è in panne e sono in avaria le emozioni, si rompono i piatti, si distruggono con la furia gli oggetti. Un gesto, quello di frantumare un oggetto, che valica un confine, che oltrepassa un limite, che trasforma in demolitori, come a ricordarsi una propria integrità e solidità, diversa da ciò che si è distrutto. Un gesto che è imparentato, sebbene molto distante, con forme più drammatiche e compromesse psicologicamente, di chi usa la distruzione degli altri per affermare la propria individualità.

Come sempre la misura fa la differenza. Ricorrere alla demolizione per rinforzare un sentimento di sé può essere un’esperienza coraggiosa e necessaria, quando non sia guidata da una tale fragilità identitaria che richiede proporzioni inaudite e inaccettabili di distruzione.

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