L’io differente o l’io estraneo: due modi per sentirci unici

L’io differente o l’io estraneo: due modi per sentirci unici

Il nostro io ha bisogno di unicità. Una delle fondamentali traiettorie della nostra identità, di cui abbiamo una psicologica necessità, è la costituzione di una personale originalità, del sentimento della nostra diversità dagli altri, che ci faccia sentire singolari e unici.

Possiamo trovare la nostra unicità, la nostra diversità, seguendo due direzioni opposte: della differenza o dell’estraneità.

IO DIFFERENTE – Quando la scoperta di noi stessi cerca accuratezza, precisione, quando aspira a conoscere con puntualità i nostri modi di essere, di agire o di sentire, deve passare dal generale al particolare, dal sommario al dettaglio. Non solo. La scoperta della nostra singolarità, per essere trovata con precisione, richiede di indagare la pluralità. Se non ci basta sapere di essere timidi e vogliamo comprendere a fondo in cosa sia unica la nostra timidezza, se non ci accontentiamo di dirci di amare qualcuno e vogliamo impossessarci delle più originali e singolari ragioni del nostro cuore, ci è necessario avvicinarci agli altri con profondità e meticolosità. Non è possibile definire il nostro io senza metterci in relazione a un noi. L’io ha bisogno dell’altro per trovare i propri confini. Ci occorre comprendere a fondo la timidezza degli altri, per sapere le modalità uniche della nostra timidezza. Senonché, più ci avviciniamo alle persone, interrogandoci con cura sull’universo dei modi di agire e di essere degli altri, per confrontarli con i nostri, più troviamo la nostra uguaglianza. In ogni timidezza vi è qualcosa di simile alla timidezza di tutti. La diversità dagli altri che troviamo, la nostra unicità, non può essere che quella dei dettagli, delle sfumature. Perché più ci avviciniamo alle identità degli altri, più troveremo similitudini.

IO ESTRANEO – Saper pensare la propria differenziante singolarità è psicologicamente impegnativo, perché dobbiamo accogliere la consapevolezza di essere per lo più uguali. La similitudine è grandezza onerosa, tanto è vasta l’umanità somigliante. Di fronte alla fatica di un pensiero della differenza che richiede di farsi prossimi agli altri, per interrogare il particolare di noi stessi e degli altri, la differenza del dettaglio viene sostituita con l’estraneità. Invece che trovare la nostra unicità in una diversità che ospita la similitudine, si privilegia la direzione opposta, l’allontanamento, la banalizzazione della diversità e del modo di essere degli altri. Si dà forma alla nostra unicità creando distacchi privi di uguaglianza e similitudine, che riducono gli altri a modi d’essere e d’esistere generici. L’altro, ridotto ad estraneità grossolana, ridotto a categorie sommarie e schematiche, consente la facile gratificazione di poter trovare la propria diversità. L’io rivendica unicità, senza accorgersi di come sia il prodotto superficiale e accomodante di un pensiero che rende il mondo grossolano e generico. Il differente è diventato in-differente.

Ma un io che trova la propria unicità rendendo estraneo l’altro, generalizzandolo, è un io che perde anche conoscenza di sé, perché perde le sfumature, il dettaglio della propria consapevolezza. Lontani dagli altri, e dal particolare che ci differenzia, finiamo estranei a noi stessi, rifugiati in un pensiero approssimativo. Senza la scoperta della nostra similitudine diventiamo noi stessi un’idea generica di chi siamo.

 

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