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GianMaria Zapelli elsewhere

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Il dilemma di ciò che si desidera

Il dilemma di ciò che si desidera

“Non devi cercare che gli avvenimenti vadano come vuoi, ma volere gli avvenimenti come avvengono.” Epitteto

Compagnia non comoda, ancorché indispensabile, quella del desiderio. Nei desideri che viviamo si raccolgono natura e cultura, memoria collettiva e storia personale. Se desiderare è una funzione biologica vitale per la nostra sopravvivenza, ma ciò che si desidera, e come, sono invece l’espressione della nostra identità, nella quale si sono radunate esperienza, appartenenze, speranze e timori, ambizioni e segreti.

Se il desiderio è indispensabilmente la spinta che ci induce a superarci, a rivolgerci alle stelle, a protenderci oltre i nostri confini è anche, proprio per questa sua natura, traiettoria che può farci male. Poiché il fallimento di un desiderio che si è nutrito nel cuore è uno dei dolori egoici più faticosi da affrontare. Tanto il desiderare ci spinge oltre noi stessi, nutrendo la nostra speranza e la nostra immaginazione di mondi migliori e di felicità, con la stessa forza trafigge la nostra esistenza di dolore se lo dobbiamo abbandonare, perché irrealizzabile. O peggio, perché lo falliamo. Potremmo infatti affermare che ciò che desideriamo, insieme a ciò che rinunciamo a desiderare, costituiscono il tragitto lungo il quale diventiamo e ci trasformiamo, nella gioia e nel patimento. 

Dunque potrebbe essere opportuno interrogare i nostri desideri, quelli che abbiamo e quelli che potremmo avere. Senza, dunque, accoglierli indiscriminatamente, quando irrompono nel nostro cuore, o senza rinunciarvi pregiudizialmente, perché soppressi dai timori.

Nei nostri più o meno rari momenti di intimità introspettiva, quando ci siamo conquistati un po’ di silenzio e ci racchiudiamo in noi stessi, in queste occasioni nelle quali l’eco del nostro cuore ci giunge da ascoltare con maggior cura e abbiamo la lucidità e la concentrazione per guardare più a fondo noi stessi, qui potremmo anche trovarci a chiederci dei nostri desideri. E allora ne vediamo il dilemma, perché avere o non avere un desiderio questo è il dilemma. Se sia meglio per il nostro animo desiderare di più e meglio e quindi sopportare il possibile dolore, i sassi e i dardi di un fallimento, dell’iniqua fortuna di un desiderio che muore. O prendere la vita che abbiamo con le sue tribolazioni, come viene e ci viene data, imparando a desiderarla, così com’è, senza attenderci altro. 

Perché vi sono mondi, vite e bellezza che per nascere devono essere desiderati e mondi, vite e relazioni che non potranno mai nascere e desiderarli può solo produrre dolore. Un dilemma non da poco.

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