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GianMaria Zapelli elsewhere

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Modi di dire “io”

Modi di dire “io”

Dei pronomi è il principale, almeno psicologicamente: io. Per quanto siano imprescindibili e indispensabili il tu e il noi, è sull’io che gravitiamo. Necessariamente. Anche se ce ne ritiriamo, è ritirata che non perde il pronome.

Ma possono essere, e sono, diversi i modi di accompagnarsi al nostro io, di rendervi attenzione, di celebrarlo o ignorarlo, di testimoniarlo o camuffarlo, di ricordarcene o di dimenticarcene, che in realtà è smemoratezza solo apparente.

Vi è l’io di chi vi si intrattiene privatamente, come un segreto da proteggere. Un’intimità riservata e pudica. Appuntando abitualmente, in pagine di carta o di bit, parole della propria vita e dei propri pensieri. Oppure collezionando immagini che rimangono private nella memoria digitale. O prendendosi tempo per interrogarsi delle emozioni vissute, come universi che meritano domande. E’ un io introverso, che si sottrae agli altri, a disagio nell’illuminazione dell’attenzione.

E vi è un io che ha necessità di un altro, dell’Altro. Che si protende verso il tu e persino il noi. Che prende parola, tiene in ascolto il tu e anche il noi, prendendone il tempo: “Io sono chi …” e poi a raccontare di sé, dell’unicità che pare identità da condividere. “Io credo…” e così a descrivere le proprie convinzioni, ciò che si crede di sé un modo che distingue. E ancora: “Io mi ricordo quando…”; “Io preferisco …”. 

Si è abituati a nobilitare chi ha un io intimo e privato, segreto e introverso, coltivato discretamente e appartato. Come fosse meglio di chi il proprio io lo sbandiera all’aperto e lo racconta agli altri. Ma se invece vi fosse una ricchezza preziosa in questa audacia del proprio io in piazza, che si racconta, che intrattiene l’ascolto degli altri. Liquidarlo come egocentrismo è un giudizio approssimativo. Perché è capacità impegnativa, credere che la propria parola al singolare possa essere raccolta da chi ne viene ridotto a spettatore. Credere che l’essere umano, nonostante graviti sul proprio io, abbia spazio, accoglienza e disponibilità per l’io di altri. E’ fiducia. Fiducia di essere ascoltati. Fiducia in un altro che saprà apprezzare il proprio io che si rivela, ottenendone il prodigioso regalo del suo ascolto

L’io che si prende spazio e tempo in mezzo agli altri, distinguendosi e raccontandosi, non è dunque sempre solo un ego troppo centrato su di sé. Ma possiede coraggio, a volte più di chi si protegge in un’intimità riservata e rassicurante. Perché, probabilmente, dire “io” a un’altra persona richiede un pregiato sentimento che confida negli altri e nella loro accoglienza.

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