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GianMaria Zapelli elsewhere

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Al nostro sapere non bastano le conoscenze

Al nostro sapere non bastano le conoscenze

Quel che conosciamo, ed è moltissimo, non sempre diventa un sapere. Conosciamo i contenuti che ci occorrono per il nostro lavoro, ma anche come riparare un rubinetto, quali sono le capitali di molti stati e anche molto che in fondo non è indispensabile conoscere. Abbiamo conoscenze di sport, di informatica, dei fatti che accadono nella società, del vino che meglio si abbina. Le nostre conoscenze a cui attingiamo sono sterminate.

Ma non tutte le conoscenze ci rendono autori di un sapere, ancorché al sapere servano anche le conoscenze.

Perché se la conoscenza è un possesso, si possiede, il sapere è invece una disciplina, un esercizio a cui ci si obbliga e impegna. Il sapere è un modo di vita.

Nella Grecia antica essere riconosciuti autori di un sapere non richiedeva solo l’accumulo di informazioni, di conoscenze, richiedeva virtù, areté. Perché non si accedeva al sapere solo per le conoscenze che si erano raccolte, ma per la cura che se ne aveva, per l’uso che se ne faceva. Era l’etica a cui ci si impegnava nella vita a conferire alle proprie conoscenze lo status del sapere, e quindi la possibilità di essere un punto di riferimento e di ispirazione per la comunità in ciò che si conosceva.

In altre parole, poiché la conoscenza è potere, è possibilità di esercitare controllo, dominio, influenzamento, perché sia un sapere, e quindi sia legittimata e accolta, ci si possa affidare, richiede che il suo autore sia affidabile, vi si dedichi rispettando coloro a cui rivolge e a cui propone ciò che conosce.

Sicché, perché si riconoscesse a qualcuno del sapere occorreva che rivelasse con il propria vita quando si sentisse responsabile verso il potere della conoscenza. Una responsabilità che richiedeva non solo di considerare il proprio sapere al servizio degli altri, ma anche che non venisse idolatrato, assolutizzato, elevato a certezza. Perché il sapere si nutre di dubbi e di interrogativi, dell’umiltà cognitiva di non sapere, di sapersi affacciati sull’immenso di ciò che ancora non si conosce, per quando siano già estese le conoscenze che si sono raggiunte. Chi possiede un sapere non possiede una verità, ma l’incessante desiderio di avvicinarsi. Chi possiede solo una conoscenza, sovente crede di avere anche una verità.

Potremmo allora chiederci che ne è oggi del sapere, se ancora richiediamo che le conoscenze possedute e proposte siano salvaguardate e assicurate da una virtù. Se a chi viene riconosciuto un sapere sia necessaria una disciplina del suo rispetto, oppure abbiamo delegato il sapere alla conoscenza, è questa basta per credersi affidabili.

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