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GianMaria Zapelli elsewhere

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Evviva la pigrizia

Evviva la pigrizia

Una condizione d’animo benefica per dotarsi di una fragilità invulnerabile: la pigrizia.

Già nell’etimologia della parola vi è la sua natura controversa. In latino piger, viene da pigritia, significa “lento” e ha una connotazione negativa, un impedimento nel raggiungere traguardi. In greco invece pigro si dice argos, che è una contrazione di a-ergos, dal significato di “chi non lavora”. Nessuna connotazione critica.

Siamo immersi in una cultura che considera riprovevole la pigrizia, tanto da assimilarla all’accidia. Non lavorare, rimanere inoperosi, rappresenta uno spregio alla natura umana e alla missione esistenziale dell’’homo faber”. Non per nulla “negozio” viene dal latino “nec-otium”, ovvero il “non ozio”, la negazione dell’ozio. Non più associato alle classi più povere, quando la monarchia poteva consentirsi la pigrizia, il lavoro come regola umana ha bandito la discriminazione. Così, se si ritarda nello svolgere compiti che annoiano, se si desidera trattenersi di più nel letto, se la sera non si vorrebbe preparare la cena tanto si è stanchi, si vive una pigrizia che ferisce e non fa sentire bene, quasi fosse una colpa.

Ma la pigrizia non è solo una carenza di temperamento, non è solo l’imporsi della stanchezza. Vi è una pigrizia sovversiva. Che si sceglie, per il suo valore liberatorio, di consentirci di sperimentare l’esperienza di un potere, quello di non fare nulla. E’ una pigrizia che richiede forza interiore, perché legittima il valore dell’assenza di scopi. E’ ribellione e indisciplina, perché è distacco, allontanamento e affrancamento dalle scadenze, da un sentimento del futuro meritocratico e performante.

La decisione, di un proprio tempo della pigrizia è rivelazione, che consente di scandagliare il proprio potere sul tempo che vi vive. Fermarsi un po’ di più a letto, rimanere un po’ di più sul divano, dedicarsi a un’attività marginale, solo per il piacere che procura, rimandando scadenze doverose, possono essere atti di sovversione. Ci consentono un presente in una sospensione indolente, dove l’assenza di im-pegni e adempimenti è una liberazione. Nella pigrizia impariamo la procrastinazione della performance e scopriamo, in questo tempo liberato, che vi è anche altro.

Nella pigrizia, diversamente dall’accidia, non vi è paralisi, immobilità. Vi è un agire che si sa staccare dalla servitù di un dover essere a cui rispondere. Il famoso filosofo Rousseau, in Svizzera, verso la fine della sua vita, faceva merletti. Si separava dal tempo, da un futuro a cui rendere conto, trattenendosi nel presente attraverso la pigrizia del lavoro maglia, senza desiderio di portarlo a termine. Gandhi filava con il charka, il telaio a ruota, dimostrando che poteva usare il tempo per agire, senza che fosse lavorare, ma assaporare libertà.

Nella pigrizia, come scelta, senza sentimenti di colpa, si trova il regalo di essere più forti della catena di decisioni e di compiti a cui dovremmo adempiere per essere riconosciuti, rispettati, accettati. Si fa esperienza di un cuore alleggerito.

 

 

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