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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
per una vita consapevole,
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Elogio del disordine

Elogio del disordine

L’ordine sembrerebbe la caratteristica intrinseca dell’universo. Che tutta la vita fisica e biologica siano governate da leggi che rispondono a una precisa relazione di causa-effetto tra elementi ben distinguibili: se avviene A avverrà sicuramente B. Dietro ogni complessità vi è la semplicità dell’ordine da scoprire. Sicché ciò che appare disordinato, sfuggente, caotico è da ricondurre a una carenza di conoscenza nel rintracciare i nessi causali che collegano tra loro gli organismi e i fatti. In altre parole, il disordine non apparterrebbe alla realtà, ma all’ignoranza provvisoria nel saper accedere a tutta la realtà. Una visione della sovranità dell’ordine ben presente anche nell’esperienza religiosa: ciò che potrebbe apparire poco divino della vita è da attribuire in realtà all’incapacità dell’uomo di poter conoscere l’ordine che è nella mente e nelle azioni di Dio.

Anche nel ricostruire il mondo psichico ricorre una prospettiva che considera il disordine uno stato disfunzionale, allontanato dalla condizione auspicabile: l’ordine. E se pur si accoglie il disordine come un territorio psichico articolato e inevitabile, domina un’attrazione verso l’orbita gravitazionale dell’ordine, nel ricostruire la catena di cause ed effetti nelle espressioni emotive e comportamentali. Sicché la cura diventa uscire dal disordine e ripristinare le connessioni di senso.

Ma Deleuze, uno straordinario filosofo francese, e prima di lui Bataille, e anche più recentemente Edgar Morin, ci ricordano che il disordine non è solo una lacuna dell’ordine. Il disordine è necessario alla sopravvivenza dell’ordine.

Se si cercasse una nuova prospettiva del disordine occorrerebbe riconsiderare lo statuto del disordine, dell’inspiegabile, del caos, della devianza. Abbandonando l’approccio di ricondurlo a un ordine nel quale siano diventate chiare le cause e gli effetti. Riconsiderare la relazione tra ordine e disordine richiede un lutto, la perdita della rassicurante convinzione che la nostra vita poggi sull’ordine, anche se non lo sappiamo vedere.

Emancipare il disordine dalla condizione di essere un prodotto dell’ignoranza, significa riconoscerlo come parte intrinseca della vita e non una carenza epistemologica. Una manifestazione alternativa ed equivalente all’ordine, alle ragionevoli connessioni di causa ed effetto della vita. La conseguenza eversiva di questa ricollocazione ontologica del disordine porta a dover considerare  il caos, il dramma, la lacerazione, l’indefinibile non più come una rassicurante carenza di conoscenza, ma come ingrediente insopprimibile e generativo della vita.

Il disordine appartiene alla natura e alla psiche non meno dell’ordine, per la sua necessaria funzione di smilitarizzare l’ordine, di renderlo plastico, evolutivo. Così il disordine che ci rende inquieti, che produce in noi stati d’animo inspiegabili, il disordine della follia o di ciò che ci disorienta, oppure di modi che ci sorprendono perché inconsueti, eccessivi, trasgressivi potrebbe essere riconsiderato come il necessario soccorso per avere un ordine, più fragile e precario, ma mutevole e benefico. Un disordine non più considerato mancanza, scarsità, che invece integra l’ordine come un’espressione che occorre alla vita: di essere anche sregolata, confusa, disorientata.

 

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