Lo sguardo è un grande protagonista di alcune nostre inconsce strategie difensive.
La vergogna, il pudore e la colpa sono tre emozioni che si avvalgono di differenti strategie dello sguardo, nel proteggerci e difenderci.
La funzione psicologica della vergogna è di proteggerci dal rischio della solitudine, dell’isolamento. Tra i nostri imperativi bisogni psicologici (e neurobiologici), come condizione vitale di sopravvivenza, vi è il bisogno di legami, di appartenere a una comunità di simili. Questo presupposto psicologico viene salvaguardato attraverso la vergogna. Il sentimento della vergogna adempie al suo compito facendoci stare male ogni volta che rischiamo di essere esclusi e allontanati. Infatti, si prova vergogna non per ciò che abbiamo fatto, ma per come ci fa apparire agli occhi degli altri. La vergogna ci trattiene, ci indirizza nel mantenerci socialmente accettabili, producendo dolore ogni volta che crediamo di imbatterci nel biasimo, nel ridicolo, nella riprovazione, nell’abbandono affettivo. Il meccanismo della vergogna ricorre a una profonda relazione con lo sguardo. In particolare, con lo sguardo che immaginiamo essere quello che gli altri rivolgono a noi. Introiettiamo e includiamo nel nostro cuore lo sguardo degli altri, che può diventare dolorosa sentenza di disapprovazione, misura per regolare e proteggere la nostra appartenenza.
Il pudore si avvale di un altro sguardo. Anche il pudore, come la vergogna, è un desiderio di sottrarsi agli occhi degli altri, ma non perché vi sia qualcosa di deplorabile o di inadeguato, qualcosa di cui ci si sente manchevoli. Il pudore protegge la nostra intimità. L’intimità è il bisogno della nostra esclusività. L’intimità è uno spazio relazionale che delimita la nostra separazione e la nostra distanza. Proteggere la nostra intimità significa difendere l’inderogabile e irriducibile libertà di sottrarci, di possedere un’identità più vasta, ricca e segreta di quella che mettiamo in comune. L’intimità protetta e custodita ci consente di sentirci padroni di noi stessi, attraverso la scelta di escludere, di privatizzare, di estromettere. Il pudore è dunque questo amore che dedichiamo a noi stessi, trovando in noi un mondo da custodire, delicato come un bambino che richiede di essere protetto, per potersi esprimere. Quindi non è lo sguardo che ci critica, quello da cui rifugge il pudore, ma lo sguardo che invade, che si impossessa dell’intimità, sottraendoci la libertà di non essere e di essere di più, sottraendoci la possibilità di estromettere e tenere lontano. Sentirsi liberi non riguarda solo ciò che possiamo fare, ma anche ciò che possiamo nascondere e tenere per noi, scegliendo lo sguardo degli altri
E poi vi è il senso di colpa. Come la vergogna, anche la colpa è una difesa morale, guidata dal bisogno di proteggere il nostro legame verso gli altri. Ma mentre la vergogna è totalizzante, produce un sentimento di inadeguatezza verso chi siamo, verso la nostra modalità d’essere (ci si vergogna di se stessi), la colpa si focalizza su precisi modi di agire, che riguardano ciò che si è fatto, e non come si è. La colpa si apre a una riparazione, evocando una possibile punizione, mentre la vergogna rimane come ferita paralizzante. In altre parole, la colpa è sanabile, la vergogna sovente no. Ed è proprio questo aspetto della colpa, di concentrarsi su uno specifico comportamento, escludendo il biasimo totale di sé, che la rende una strategia difensiva dotata di un altro sguardo. L’unico sguardo che veramente è prioritario nel sentimento di colpa è il proprio, quello ripiegato su di sé. Sovente accompagnata da rimorso o rimpianto la colpa è un sentimento di dolore verso le proprie azioni, è un sentimento che ci si dedica, rivolgendo a se stessi, affranti e addolorati, una condanna. Ed è proprio questo sentimento inarcato su di sé, questo sguardo che ci si rivolge, questa condanna che guarda a un perdono, la benefica strategia difensiva della colpa. Accorgendoci di aver commesso qualcosa di errato, vedendo le nostre manchevolezze, la colpa viene con il suo dolore e il suo rammarico a dirci che meritiamo indulgenza, poiché ne stiamo soffrendo. In altre parole, la sofferenza della colpa serve ai nostri occhi per acclarare e certificare che siamo pentiti e per questo meritevoli di comprensione. La funzione riparatrice della colpa è nello sguardo di condanna che ci rivolgiamo, nel ripiegamento emotivo che ci dedichiamo, ottenendone la possibilità di sentirci graziati.
Vergogna, pudore e colpa una tripletta dell’astuzia del nostro sguardo nel soccorrere le nostre incompletezze.