Rispetto: l’etimologia è illuminante, deriva da RESPICERE, composta da RE- “di nuovo”, che indica un indugio, una ripetizione e SPICERE “guardare”.
Nel rispetto è presente un movimento che esita di fronte all’altro, trattenendosi a riconsiderare. Vi è rispetto quando si protegge lo spazio tra noi e l’altro. La giurisprudenza riconosce il diritto di “un’area o fascia di rispetto”, quella zona che obbliga a una distanza da un bene e non può essere edificata. Il rispetto riconosce e difende un’area di vuoto, una distanza tra noi e l’altro, che si genera attraverso il dubbio su ciò che vediamo o sentiamo.
Manchiamo di rispetto quando non custodiamo questa distanza, quando la prevarichiamo con le nostre certezze, i nostri modi o le nostre emozioni. Quando abbiamo parole o gesti senza indugio, quando adottiamo le nostre convinzioni senza uno sguardo che dubita, considerandole anche verità per l’altro.
Occorre una pausa, un rallentamento, perché l’altro compaia ai nostri occhi, per potersi manifestare nella libertà della sua lontananza. Il rispetto è faticoso perché richiede un cuore che sa esitare di sé e ritirarsi, di fronte all’innominabile di un’altra persona.