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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
per una vita consapevole,
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Perché il dolore ci rende interi

Perché il dolore ci rende interi

“Non c’è niente di più intero di un cuore infranto.” J. Safran Foer

Il dolore ci rende interi, inscindibili. Lontano dal dolore la nostra identità si esprime attraverso le variegate percezioni ed esperienze con cui entriamo in contatto. Lontano dal dolore siamo meno chiusi nel nostro io, meno delimitati in ciò che viviamo, siamo molteplici. Perché non sottoposti al giogo di un’emozione che si impossessa interamente di quel che sentiamo e proviamo.

Nel dolore perdiamo noi stessi, diventando monocromatici, dominati da pensieri e sentimenti che non lasciano spazio ad altro. Siamo interamente nel dolore: ricordi, speranze, percezioni sono pieni del vissuto che ci sta occupando.

L’identità che possediamo, che raccoglie in sé la possibilità di ricordi screziati da colori differenti, che può dedicarsi con uguale attenzione e impegno ad attività eterogenee, che può raccogliere l’interminabile varietà di profumi, voci, confidenze, scorci di vita, quando viene infranta da un dolore perde la sua inesattezza, le sue manifestazioni cangianti, per racchiudersi e rinchiudersi nel solo colore del dolore.

Certo, come lo è per il corpo e i suoi tessuti, anche il dolore psicologico è un processo di cura in corso. La concentrazione nella sola dimensione del patimento è un processo di cicatrizzazione. La mente elabora la sofferenza dedicandole tutta se stessa. Ed è questa dedizione maniacale del dolore, questa estrusione dal resto della vita e del sentire che pur potremmo, che ci serve per risarcirci di ciò che abbiamo perso, della ferita.

Ci occorre dedicarci solo ai sentimenti prodotti dal dolore per ritrovare un sentimento di solidità che ci è stato tolto. Così il dolore ci dà unità, ci rende interi, ci toglie molteplicità per risanarci con le attenzioni che prende, con il tutto del sentire che ci impone. Nell’integrità del dolore ripristiniamo l’integrità dell’io, riportandolo a una sola dimensione, come condizione per sanare la ferita che è nata dall’esserci legati a qualcosa fuori di noi, nell’esserci distesi oltre noi stessi, per affidare la nostra felicità oltre i nostri confini.

Ritroviamo con il dolore una distanza granitica dal mondo, lo mettiamo in secondo piano, reso opaco e marginale, dietro il primo piano che ci impone il dolore, pensando a noi, solo a noi stessi.

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