Raramente nella vita siamo centrali in ciò che ci accade e ci riguarda, per lo più siamo marginali. Certo, siamo centrali nelle relazioni familiari e amicali, come siamo centrali nelle attività che ricadono soprattutto su di noi. Ma in realtà di moltissime direzioni che prende la nostra vita noi siamo in una posizione marginale. Raramente abbiamo il potere di decidere in modo determinante le sorti delle istituzioni, della cultura, dell’economia o dell’ambiente.
In questa posizione da marginali, possiamo starcene in silenzio, convinti che non possiamo farci nulla, accettarla come inevitabile, come un destino sociale o di più. Ritagliarci la nostra isola di trascurabile protagonismo. Possiamo rassegnarci e magari anche soffrirla, lamentandoci o mugugnando. Stiamo nella nostra marginalità, guardando il mondo che accade e sentendocene estranei.
Oppure possiamo convincerci che essere marginali non significhi essere impotenti e ininfluenti. Così allora ci muoviamo, intraprendiamo azioni e scelte per sottrarci al ruolo della marginalità passiva e inattiva.
Vi è chi nella marginalità agisce da vittima, rivendica ascolto, reclama attenzione e credito per le sue idee e la sua condizione. Per il solo fatto di essere marginale si scaglia contro il potere, con ostilità e antagonismo, che sia quello dei capi in azienda e quello politico. Come se trovarsi in una condizione di marginalità significasse necessariamente essere oggetto di ingiustizia. La vittima periferica si attribuisce sempre un grande credito e allo stesso tempo svalorizza le qualità e le ragione degli altri, che hanno più potere o successo. Cerca di sottrarsi alla marginalità con un sentimento di ostilità e di rabbia verso chi non è marginale. Soffre la propria marginalità rivendicando una giustizia su misura del proprio sentimento di vittima.
Oppure vi è chi sa di essere marginale senza credere che sia stata commessa un’ingiustizia. La sua marginalità non ha ragioni che riguardano una disattenzione o una scorrettezza perpetrata a suo danno. Vi è chi sa di essere marginale e non vive un sentimento di disagio per la sua condizione di periferico, non ha aperta alcuna ferita narcisistica, alcun risentimento.
Si pensi al modo di essere marginali dei tanti che attraversano deserti e mari, che piegano il corpo alla sofferenza, per riuscire a portarsi in salvo. Non si sentono vittime di ingiustizia, non rivendicano l’aiuto come fosse dovuto, ma sono grati al poco che ricevono. Sanno la loro marginalità e cercano con uno straordinario coraggio e qualità di sopravvivenza immense di modificare qualcosa, senza sentirsi vittime quando sono trattati da schiavi o umiliati. Cercano di lasciare un segno nella loro vita, che rimarrà probabilmente da marginali, ma più vicina a ciò che è dignitoso vivere. Affrontano la loro marginalità senza alzare la voce, senza reclamare giustizia, ma piegandosi allo sfruttamento dei mercanti di uomini, al tempo infinito di rimanere rannicchiati, in silenzio e senza rancore. Cercano di cambiare qualcosa della loro marginalità all’interno delle regole di chi ha il potere di farle, all’interno di un mondo che ne fa oggetto di speculazione, perché sanno che quando sei marginale per lasciare un segno nella tua vita, per non rassegnarti, per non limitarti a dire “io l’avevo detto”, per non agire da vittima, devi metterci impegno e fatica, sforzo e tenacia per arrivare altrove da dove ti trovi. Vi sono persone marginali eppure sono giganti, perché sanno impegnarsi in ciò che possono, credendo che la differenza sia in ciò che si riesce a ottenere, e non in ciò che si rivendica.