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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
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Il desiderio di lasciare memoria di sé

Il desiderio di lasciare memoria di sé

Una persona cara mi racconta un suo desiderio: “Vorrei realizzare qualcosa di memorabile”

Lasciare memoria di sé, trovare un piccolo o grande spazio nel cuore negli altri, poter arrivare oltre sé, esistere oltre i confini della propria coscienza. Forse uno dei desideri che fondano l’esistenza umana. Non essere sufficienti a sé, ma proiettati nel mondo per lasciarvi traccia nell’apprezzamento e nel riconoscimento. 

Famose le lacrime di Ulisse, naufrago sull’isola dei Feaci senza rivelare chi fosse. Per questo straniero, che nasconde la sua identità e afferma di chiamarsi “Nessuno”, viene organizzato un banchetto, dove un aedo canta le gesta del famoso Ulisse, non sapendo di averlo davanti. Inaspettate, Ulisse ascolta le parole che celebravano la sua presenza nella memoria degli altri. E crolla in un pianto, si scioglie la sua durezza, la sua incessante voracità di scoperte e confini, sopraffatta dal calore di sapersi presenza oltre sé stesso, oltre il perimetro insufficiente della propria vita.

È un pensiero impegnativo, ma che sovente si affaccia ineludibile, interrogarsi su come si sia riconosciuti e ricordati dagli altri, per ciò di cui siamo o siamo stati capaci. È una presenza nella memoria delle persone differente da quella che unisce nel legame d’amore. Essere uniti da una relazione affettiva sovente è una reciproca vicinanza proiettiva, che trova nell’altro, nella sua identità, il proprio desiderio. 

Invece, essere ricordati per ciò che si è realizzato richiede di essere generativi, partorienti, di un contenuto che si stacchi da sé, che possieda un merito e un valore da poter essere apprezzato e raccolto dagli altri. Di default biologico si ha disposizione la genitorialità, che sovente è accompagnata dalla gratificazione di lasciare nei figli un seguito a sé, di aver generato un’esistenza oltre sé stessi.

Ma se non ci si accontentasse di ciò che la natura ci mette a disposizione, se si volesse lasciare memoria di sé oltre il perimento dei legami saldati dall’amore? Si dovrebbe allora essere autori di esperienze, di bellezza, di bontà, di esternalità che meritano di essere ricordate per ciò che consentono e ottengono. Senza la facilitazione della relazione affettiva, occorre essere capaci di produrre qualcosa che arricchisca le persone: di percezioni toccanti, di emozioni, di sogni, di esempi, di aiuto.

Ma non è affatto facile, come si sa, avere idee, capacità, lucidità, coraggio, determinazione per generare un risultato che possa essere ricordato nel tempo, e attraverso di esso sé stessi. È ben più facile essere ricordati attraverso i sentimenti che si sono suscitati, che per le proprie effettive e concrete opere.

Forse qui troviamo la versione generativa dell’ambizione. Non quella arida e autoreferenziale, mossa dal bisogno di prendersi spazio tra gli altri, per placare carenze e debolezze. Ma l’ambizione di chi aspira a un’accoglienza pregiata nella memoria degli altri, perché desidera realizzare modi d’essere e traguardi che consentano di rendere il mondo e le persone migliori. 

Sovente, a queste donne e uomini, che hanno avuto l’ambizione di esistere nella memoria degli altri per le loro opere, dobbiamo molto del buono che l’umanità ha saputo generare.

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