Quanto contano le emozioni vissute sul senso che si attribuisce alla propria vita?
Che le emozioni abbiamo un ruolo fondamentale nella vita è banale affermalo, ma che lo abbiano anche nella costruzione del senso che si assegna alla propria esistenza è forse meno evidente.
Ricondurre quel che si vive a un senso significa estrarre dalla propria vita quel che la rende necessaria, giustificata, vissuta. Gli accadimenti e le scelte che ne hanno determinato il volto, la natura.
Dalle ricerche neuroscientifiche abbiamo un’evidenza rilevante: gli eventi che più di altri diventano la scrittura della propria vita non sono estratti perché positivi o negativi, ma per l’intensità dell’emozione che si è vissuta, tanto quella positiva quanto quella negativa. È l’unicità dell’esperienza, il suo impeto, la forza con cui colpisce a lasciare il segno nel trovare significati e senso. In altre parole, gli eventi più significativi a cui si collega il senso della propria vita non sono definiti dal fatto di essere gioiosi o amari, ma dal fatto di essere stati straordinari, coinvolgenti, estremi emotivamente.
La ragione è neurofisiologicamente semplice: l’emozione è come una vibrazione cerebrale, tanto più forte, coinvolgente, veemente, maggiore è la traccia di attenzione che produce e di memoria per questo che lascia. Felicità e pena hanno in comune un’esperienza emotiva che invade la mente e ne prende il possesso, per rimanere nel futuro ricordo che si distingue dal quotidiano che si è ripetuto simile.
Sicché nel comporre la narrazione della propria vita, sviluppandola negli eventi percepiti più significativi e determinanti, saranno quelli che hanno un’eco più acuto, quelli che hanno piantato nella mente, nelle sue reti cerebrali, un ricordo emotivo più penetrante, di felicità o di dolore. Il senso rintraccia nella vita vissuta l’impronta delle emozioni, come fossero una notifica del nostro passaggio nell’esistenza.
Forse per questo si è attratti anche delle intense emozioni negative, spiacevoli o tristi: tremando nel vedere un film di orrore, spaventandosi in una prova di coraggio o anche ascoltando una musica dolente. Non si cerca la paura o la tristezza, ma l’impeto di un’emozione che concorre a comporre la narrazione della propria vita. Le esperienze di picco – l’ostacolo superato, il dolore che ha spesato, la gioia incontenibile – sono gli ingredienti che si affacciano alla mente quando si cerca nel proprio esistere ciò che sta rendendo la propria vita quello che è, con i suoi significati e la sua unicità.
Certo ci occorre la tranquillità e la serenità che potremmo trovare pacificando le nostre emozioni, magari ricorrendo alla mindfulness, ma quando cerchiamo senso e le tracce della vita nella nostra esistenza cerchiamo l’intensità emotiva di ciò che abbiamo vissuto, toccandoci.