La paura è un meccanismo biologico. I modi con cui va in onda sono le applicazioni personalizzate dall’esperienza. In altre parole, siamo naturalmente predisposti alla paura. Ma non tutte le paure che viviamo sono state previste dalla natura. Alcune ne sono un prodotto collaterale, non indispensabile.
L’essere umano ha questa contraddizione, di essere un prodotto biologico, ma di avere produzioni estranee alla necessità delle leggi della natura.
Così, sovente possiamo essere grati alle paure, alla loro funzione biologica, perché ci evitano conseguenze funeste e sofferenze. Sono una compagnia necessariamente e beneficamente molesta. Ma non sempre.
Perché a volte le loro ragioni sono zavorre, che ci comprimono ingombranti, da cui è così difficile liberarsi. Sebbene pur vediamo che se ne fossimo esenti ne avremmo esperienze che ci potrebbero rendere più soddisfatti, addirittura più felici.
Dove vi è una paura, un timore, si produce una protezione, della nostra incolumità, della nostra autostima o dei nostri legami. Ma quando siamo dominati dal bisogno di proteggerci nuociamo alla nostra lucidità, perché la paura trasforma la realtà in minaccia. Da cui vuole escluderci, sottrarci o allontanarci. Proteggerci significa rinchiuderci, accrescere vigilanza e diffidare. Il timore è un linguaggio che non riflette, ma reagisce, prevedendo un dolore da cui vuole difenderci. Così è fatica riuscire a imporsi sulle proprie paure, sulla loro prepotenza biologica, anche perché frequentemente sono astutamente mascherate e inconsapevoli.
La natura ha scritto nei nostri geni la sofferenza come un’esperienza da evitare ad ogni costo, senza andare per il sottile, la sofferenza “tout court”, sommariamente. Non ha previsto che vi sono possibilità di soffrire che meritano di essere affrontante, senza essere ostacolate dalle ragioni grossolane della paura, perché sono le possibilità che hanno i sogni e le speranze.