Quando si alimentano bisogni di essere visibili e riconosciuti, di esprimere sempre la propria idea, si sta anche generando una condizione che ci espone alla vulnerabilità e alla perdita. Più ci è necessario essere presenti maggiore è la possibilità di non essere vicini, vicini al mondo, alle sue sfumature, alle sue tante manifestazioni, che invece richiedono attenzione, ascolto e distanza. Distanza dal bisogno di affermarci, di far sentire la nostra voce, le nostre idee. Quando noi siamo troppo presenti meno presente è il mondo.
In una società in cui assistiamo al totalitarismo della visibilità e della sorveglianza generalizzata, l’invisibilità è una militanza, un’azione controcorrente, è sottrarci al circo mediatico e sociale dell’io. Saper essere discreti non riguarda la timidezza o la paura di affrontare il mondo, semmai la capacità di godere con riservatezza della presenza e dell’esistenza degli altri. Rimanendo invisibili, senza essere separati o distanzianti, è possibile beneficiare dell’apparizione del mondo, senza che a nostra volta ci venga richiesto di apparire. Osserviamo i nostri figli giocare, la persona che amiamo mentre è impegnata in un’attività, i colleghi intorno a un tavolo affrontare una discussione. Vicino a noi il mondo prosegue la sua vita e fortunatamente si dimentica di noi. Gli amici ospiti a casa nostra si animano in una discussione e noi usciamo dal loro radar, diventiamo invisibili; in questo spazio di discrezione troviamo una pienezza attraverso una leggerezza, dai doveri di dire il nostro punto di vista, di dover essere interessanti, acuti o spiritosi.
L’invisibilità però non ha valore se è permanente. In questo caso sarebbe assenza e separazione. La discrezione non mette a disposizione le sue potenzialità se è stabile, ma se rimane un’esperienza localizzata che si verifica interrompendo l’apparizione. La scomparsa non deve essere un ritiro duraturo, ma movimento che si alterna alla presenza. L’invisibilità è al suo meglio come esperienza episodica, che alterniamo alla partecipazione. Non è rimanere sempre nascosti ad ammirare i nostri figli, o sempre silenti nella cena con gli amici. Ma trovarsi momenti di discrezione, cioè un tempo che non nasce dal desiderio di non far parte del mondo, ma all’opposto di avvicinarlo invisibilmente per poterlo assaporare e ascoltare a fondo. L’invisibilità è una prospettiva. Rimanendo visibili al mondo siamo sensibili alle sue esigenze, alle sue aspettative, cercando di anticiparle, prevenirle, affrontarle. Abbiamo lo sguardo sproporzionato di chi riempie il campo visivo di qualcosa che avvicina troppo agli occhi. Nell’invisibile discrezione invece il mondo ci appare da un’altra prospettiva, più lontano e per questo più vasto, molteplice e ricco, sottratto al condizionamento del nostro sguardo emotivamente vigilie, che cerca di comprendere minacce o sicurezze.
In una posizione discreta, inosservata, trasparente, si abbandonano i fantasmi dell’essere indispensabili, responsabili di tutto o di tutti. Nell’esser discreti non abbiamo bisogno di essere potenti. Nell’invisibilità impariamo la solida sicurezza di non essere necessari. Nella discrezione mettiamo a tacere lo sguardo che attribuisce volontà al mondo, che proietta nel mondo le nostre esperienze e le nostre paure.
L’invisibilità come militanza, e non come indifferenza, è il piacere della clandestinità, del camminare rasente i muri per non farsi notare, in un mondo dove tanti cercano di trovarsi uno spazio di visibilità. Kafka ha scritto: “Nella lotta tra te e il mondo vedi di secondare il mondo” (Kafka). Secondare il mondo significa non esistere a spese del mondo, ma sapere lasciarlo essere. Ritirarsi dal mondo per lasciarlo esistere e abitarlo attraverso la nostra discrezione.
Quando sappiamo impossessarci della discrezione, di questo stato defilato e non impegnato, ciò che troviamo è uno sguardo. Non lo sguardo valutativo, che cerca di impossessarsi della realtà e dei pensieri delle persone, non lo sguardo che vuole comprendere a fondo, provando simpatia e antipatia, nel quale proiettiamo noi stessi, i nostri bisogni e le nostre emozioni. Nella discrezione troviamo un riposo, un ristoro, grazie al quale ci possiamo avvicinare ai gesti impercettibili delle persone, ai sorrisi nascosti o alle nascoste tristezze, senza cercare spiegazioni, senza voler capire e senza impossessarcene. Pacificati nell’invisibilità, e grazie all’invisibilità, ci sottraiamo alle proiezioni e introiezioni che abbiamo quando siamo impegnati nella visibilità. Troviamo un amore per le apparenze, per ciò che affiora sulla superficie del mondo, le sconfinate manifestazioni della vita, che ci rimangono ignote quando siamo impegnati ad essere presenti.
Perciò, è nel sottrarci e renderci clandestini che possiamo trovare una vicinanza con il mondo e le sue modalità di rivelarsi. E’ sottraendoci al bisogno di voler dire “io”, di essere riconoscibili, che troviamo una prossimità al mondo che ci circonda e anche una invulnerabilità. Ci sottraiamo per guadagnare confini più vasti al nostro sguardo. Un’invisibilità che però non deve essere definitiva, ma che si alterna e dialoga con la presenza, nella quale portiamo l’esperienza fatta grazie alla discrezione, accompagnati da sicurezza e forza.
Sai vivere invisibilmente?
Qui alcuni suggerimenti per sperimentare la ricchezza dell’invisibilità. Sono modi di agire che ci sottraggono, che ci tolgono, che ci fanno stare a lato, discretamente.
- Non aver bisogno di dire sempre il tuo pensiero. Non si hanno sempre pensieri che meritano di essere comunicati.
- Non cercare sempre di far parte. Il bisogno di essere accettati e di trovare amore non deve essere una prigione che ci costringe a cercare sempre comunicazioni e partecipazione.
- Non essere spudorato/a. Avere pudore verso gli altri significa accorgersi di ciò le persone desiderano tenere privato e segreto.
- Non sbagliare il momento. Essere discreti significa anche comprendere il giusto momento in cui dire e parlare, quello che ci consente di essere utili agli altri, non solo a noi stessi.
- Non trascurare la bellezza. Uno dei caratteri della bellezza è la giusta misura e la precisione di ogni dettaglio. Per questo la bellezza richiede discrezione e sguardo da lontano.
- Non farti sempre coinvolgere. Vi sono emozioni che sono schierate, in prima linea, ci spingono a giudicare, a renderci partecipi, coinvolgendoci e innescando la nostra presenza. E’ benefico sapersi allontanare, quando lo desideriamo, da queste emozioni, per ritirarsi in emozioni più discrete e morbide, quelle che si trovano quando da distante ammiriamo il mondo nei suoi particolari meno visibili.
- Non avere troppe certezze. Le certezze richiedono di essere difese, affermate, diffuse. Il dubbio invece ci spinge a prendere le distanze, a soffermarci con lo sguardo interrogativo e curioso sulla realtà che viviamo, per osservarla meglio.