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GianMaria Zapelli elsewhere

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La diversità tra felicità e benessere psicologico

La diversità tra felicità e benessere psicologico

Una piccola storiella che riguarda la differenza tra benessere e felicità. 

Due amici si trovano dopo molti anni, ormai adulti. Si interrogano su come vada la loro vita. Uno dei due dice all’altro che è stato recentemente da uno psicologo. Al che la domanda: “Qualche problema?” “La notte con un certa frequenza mi facevo la pipì addosso.” “E come va adesso?” “Benissimo.” “Ah, quindi hai cessato le incontinenze notturne?”  La risposta: “No, continuano. Ma adesso non me ne preoccupo più.”

L’incontinenza notturna di quest’uomo non è certo un momento felice, ma può essere un’esperienza di benessere. 

Desiderabili entrambi, felicità e benessere, hanno una differente natura.

Ricorre nelle diverse interpretazioni della felicità un aspetto: di corrispondere a uno stato di incoscienza. Quando si è felici si è totalmente immersi in ciò che si vive, totalmente partecipi, al punto da dimenticarsi di sé. Quel che viviamo coinvolge con il suo potere leggero di sospendere la nostra attenzione al passato, al futuro, a ciò che ci preoccupa o ci inquieta. Siano felici perché siamo liberi da noi stessi. Apparteniamo completamente, con gioia, all’esperienza qui e ora che stiamo vivendo.

Il sentimento del proprio benessere va in direzione opposta, richiede riflessione, attenzione a sé, per riconoscere e modulare le condizioni che ci consentono di sentirci bene, bene con noi stessi. Perché il ben-essere riguarda come noi siamo sereni e accoglienti verso noi stessi, verso l’essere umano che siamo, con le nostre complicate e variegate modalità di sentire, pensare, provare emozioni, agire. Il nostro ben-essere riguarda quanto ci riconosciamo con accettazione in chi siamo e in quel che viviamo. 

Se la felicità ci porta fuori da noi, con il suo stato di beatitudine e di partecipazione gioiosa e spensierata al momento presente che si vive, il benessere è un movimento introverso, che si distende oltre il qui e ora, dirigendosi verso la nostra identità. Il ben-essere non riguarda l’esperienza appagante che si vive nell’adesso, ma l’esperienza di sé che si è costruita nella propria vita. Nel saper accogliere ciò che ci è necessario essere e nel saper allontanare da sé modi di sentire e di vivere che non fanno bene al nostro essere.

Questo significa che anche il dolore, l’inquietudine, la malinconia possono far parte del nostro benessere, perché ci occorrono per essere chi vogliamo e desideriamo essere. Vi sono allora dolori, dubbi, fatiche, insicurezze necessari al benessere, perché concorrono al significato che vogliamo trovare in quel che viviamo. E vivere una fatica o un disagio con benessere significare aver dato loro ospitalità, averle riconosciute come nostre e indispensabili. Diverse sono le fatiche e disagi senza benessere, perché si agitano in noi come corpi estranei, a cui reagiamo, sentendocene danneggiati.

Pertanto, se la felicità ci sottrae noi stessi, in un tempo ridotto al qui e ora, il ben-essere ci richiede la consapevolezza della nostra identità, che è durata e progetto nel tempo.

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