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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
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Ci formiamo per vicinanza e per opposizione

Ci formiamo per vicinanza e per opposizione

L’identità, si sa, non è per nascita, non è nell’impronta del DNA, da aver forma per la sua natura interna. Invece, si sviluppa e si compone di contenuti, abitudini, grammatiche emotive forgiati nella relazione con il mondo in cui si è immersi. Quel che siamo lo siamo diventati per contaminazione. Contagi, quelli gioiosi e quelli avvelenati, che hanno prodotto le nostre inclinazioni, le nostre preferenze, la nostra direzione.

L’io è il prodotto di un noi, della nostra pelle a contatto con il mondo, di ciò che hanno visto i nostri sguardi, di ciò che ci ha raggiunto, con benessere o anche con dolore.

Sicché, semmai volessimo risalire alle nostre radici, che nutrono quel che ci dà identità, non dobbiamo fermarci ai valori, ai desideri o ai timori che abbiamo. Neppure a ciò che abbiamo studiato, imparato e sappiamo fare. Dobbiamo affondare nelle relazioni. Per trovare le esperienze di relazione, di ascolto, di vicinanza, di percezione che abbiamo avuto. A partire da quelle nella nostra famiglia nativa. Dobbiamo cercare cosa ci ha percosso, accarezzato, incuriosito da essere sorgente delle scelte che abbiamo fatto, dei legami che abbiamo costruito, delle speranze che abbiamo inseguito.

Ci siamo formati per similitudine e per differenza. Abbiamo in noi similitudini con chi abbiamo incontrato, con chi ci ha cresciuto, con le persone che ci hanno toccato. Ma anche differenze, sovente dalle stesse persone con cui pur abbiamo similitudini. Le emozioni che abbiamo provato per gli altri, con serenità o tormento, con desiderio o repulsione, hanno tramato in noi, quasi sempre invisibilmente, l’arcipelago delle nostre modalità d’essere.

Abbiamo modi, gusti, atteggiamenti, impiantati dalla vicinanza. Abbiamo copiato e ricalcato ciò che abbiamo vissuto come benefico, ma anche come inevitabile. Ma pure abbiamo cercato strade opposte a quelle a cui siamo stati esposti. Così non è raro trovare in ciò che ci caratterizza anche un’origine antagonista, una spinta irresistibile nel cercare di essere l’opposto di ciò che temiamo. Una fuga controdipendente, nella cui origine vi è  il segno che ha lasciato in noi il mondo con cui siamo entrati in relazione. Abbiamo visto la paura e temendo di esserne anche noi contagiati cerchiamo continuamente di provarci il nostro coraggio. Siamo stati esposti all’insuccesso di qualcuno a cui abbiamo voluto bene e potrebbe essere perentorio il desiderio di affermarsi. Abbiamo respirato l’isolamento sociale di una persona amata e potrebbe dominarci lo sforzo di essere amati.

Sicché, nell’osservare chi siamo, vedendo quel che ci piace fare, quel che ripetiamo nei nostri modi di essere, o quel che evitiamo costantemente, potremmo chiederci quali siano state le relazioni, le vicinanze che ci hanno influenzato. Sapendo che in quel che siamo non vi è solo ciò che abbiamo preso dagli altri e riprodotto in noi di simile. Vi è anche ciò che abbiamo preso dagli altri imponendoci di esserne l’opposto.

Altra domanda, ancor più complicata, se quel che siamo per contaminazione, riproduttiva o antagonista, ci piace esserlo.

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