Molta della vita che viviamo nasce prima, quando dobbiamo avere o meno fiducia verso ciò che ci accadrà dopo. La fiducia sovente è la sostanza che distilla le nostre decisioni, indirizzandole verso una direzione o un’altra.
Per rappresentare il ruolo della fiducia, possiamo immaginare ogni scelta come dovessimo collocarci in un punto su una linea retta: a un’estremità abbiamo la totale certezza di quel che ci potrà accadere; all’altro estremo invece la totale mancanza di conoscenze, esperienze e previsioni sui possibili sviluppi o accadimenti. Maggiore è la vicinanza delle nostre scelte al polo delle certezze minore è la fiducia a cui ricorriamo.
La fiducia caratterizza ciascuno come un’impronta psicologica, nell’aver bisogno di certezza, rassicurazione o controllo. Per la sua funzione nel regolare il nostro futuro, attraverso le scelte che facciamo, potremmo chiederci quanto abbia un ruolo funzionale nella nostra vita, quanto le sue restrizioni e le sue aperture ci proteggano ragionevolmente da possibili danni, ma anche ci lasciano liberi di sperimentare ed esplorare la vita. Sapendo che la qualità della nostra fiducia può essere educata. È impegnativo, ma è possibile.
Cosa concorre, dunque, a caratterizzare il mindset della nostra fiducia, il modo peculiare che abbiamo di avvalercene, o tenercene distanti?
Fondamentali sono certamente le esperienze e le conoscenze che abbiamo maturato, che hanno lasciato in noi una memoria che influenza la nostra rappresentazione della minacciosità del mondo, della sua pericolosità e imprevedibilità.
Un altro aspetto che concorre a determinare il nostro ricorso alla fiducia è il sentimento della nostra vulnerabilità, della nostra capacità di governare, rimanendone indenni, imprevedibili ma possibili ferite o delusioni, nelle quali potremmo imbatterci nel futuro. La fiducia richiede capacità di resilienza.
È anche determinante quanto ci affidiamo a ciò che conosciamo, quanto lo riteniamo vero e attendibile. Quanto consideriamo le nostre conoscenze sufficientemente solide e complete per assicurarci scelte corrette.
Vi è un altro ingrediente che orienta i modi della nostra fiducia: le manifestazioni del nostro corpo. Le analisi dei comportamenti neurobiologici collegati alla fiducia rivelano un legame profondo tra la qualità della fiducia e i modi involontari della nostra risposta corporea: le esitazioni o la sicurezza del gesto, il tentennamento o lo slancio. Il cervello non si avvale solo delle informazioni che riceve dall’esterno, neppure si accontenta delle conoscenze che ha sviluppato, utilizza anche variabili endogene come la sudorazione, l’incertezza della voce, l’abbassamento dello sguardo e altri gesti di esitazione o di sicurezza. Costruiamo fiducia meno sui fatti del mondo esterno, molto di più sui tremori del nostro corpo.
Potremmo allora educare la nostra fiducia cominciando con un’attenzione al nostro corpo, alla sicurezza nelle posture, alla calma nel tono della voce, al rilassamento nel respiro, per comunicare alla mente: “Ok, qui è tutto sotto controllo!”