È evidente: l’immagine che abbiamo del nostro futuro è un ingrediente che concorre alle nostre scelte nel presente. Quel che pensiamo potremmo vivere non solo nel tempo subito prossimo, più facile da mettere a fuoco, ma anche del futuro più lontano, di cui abbiamo magari già alcune chiare rappresentazioni, ma altre invece più rarefatte e sfuocate.
Uno dei modi attraverso cui si manifesta il sentimento che abbiamo del nostro futuro sono gli oggetti, le cose, che conserviamo, assegnandogli un domani, mentre nel presente non ci occorrono. Quel che riponiamo negli armadi o nei ripostigli senza sapere esattamente quando verrà tolto da lì nel futuro, ma immaginando che potrà accadere. Che potrà esserci utile o solo bello averlo a disposizione, riprenderlo dall’angolo dell’armadio o del garage in cui lo abbiamo depositato. Perché ci pare possibile un futuro nel quale ne avremo bisogno, lo verremo riavere tra le mani, e saremo felici di non averlo gettato via.
Un futuro nel quale un lavoro domestico ci richiederà un capo d’abbigliamento che potremo poi buttare, oppure una riparazione che ci richiederà esattamente quella vecchia molla oggi inutilizzabile ma che potrebbe servici
Sovente è un futuro nel quale si dovrebbero trascorrere ore e ore, in numero illimitato, a ricordare. Necessarie per riprendere e rivedere la quantità sterminata di biglietti, fotografie, appunti, fogli che sono stati depositati nelle scatole dei ricordi. Un futuro nel quale ci si immagina il calore commosso e struggente del ricordo che avremo a disposizione con il suo reperto fisico che abbiamo conservato.
Nell’immagazzinamento dell’inutile di oggi vi è a volte è anche un futuro professionale che ci si immagina. Conserviamo libri per una lettura che ci potrà servire nel lavoro, quando troveremo finalmente il tempo. Oppure attrezzi che potranno venirci utili domani, per il lavoro che si fantastica di dover affrontare.
Vi è una sorta di dolcezza in questo trattenersi l’inutile di adesso pensandolo utile domani. Più di un pensiero freddamente pragmatico. Forse il desiderio di portare con sé un sentimento del futuro, del suo possibile, del suo mistero, della sua sorpresa. Il desiderio di sentirsi più vasti dei confini del presente e di un futuro che sappiamo già prevedere, per credere di avere a disposizione domani un tempo nel quale la nostra vita avrà scoperte da affrontare, verso il quale ci si prepara.
Poi trascorrono gli anni e magari si guarda nei ripostigli, negli armadi o nel garage cosa si è conservato, inutilizzato, preparandosi a un futuro possibile. E lo si getta, lo si smaltisce, perché è cambiato il proprio futuro. E non vi è più quello che si era ritenuto possibile, anni prima.