Uno scienziato e un suo amico sono in treno e stanno attraversando le campagne della Scozia. Dal finestrino, davanti ai loro occhi compare un gregge di pecore nere. L’amico dice: “Qui hanno le pecore nere” e lo scienziato risponde: “Quello che posso dire è che qui vi sono pecore con uno dei due lati di colore nero.”
Tra le tante differenziazioni che si possono fare delle persone e dei loro modi di essere, una potrebbe riguardare la tendenza a generalizzare vs. la tendenza a distinguere.
Generalizzare e distinguere sono due strategie cognitive che ricorrono a differenti strutture neuronali, al servizio di differenti bisogni psicologici. Generalizzare è efficiente, veloce e, soprattutto, rassicurante. Generalizzando si semplifica la molteplicità, la si rende facilmente disponibile a un pensiero maneggevole. Generalizzando si arriva facilmente ad avere certezze. Generalizzando si ottiene un’immediata reazione a ciò che si vive. Distinguere è invece accurato, lento e soprattutto inquietante. Distinguendo si dilata la realtà, la si rende più complessa e difficile da ricondurre a precise e accessibili conclusioni. Distinguendo si rimane aperti al dubbio e all’interrogativo. Potrebbe paralizzare. Una condizione ostile al nostro primario e primitivo bisogno di sopravvivenza
Generalizzare vs. distinguere sono due differenti strategie ben riconoscibili nell’affrontare il disagio e le difficoltà.
Nel pensiero che generalizza la difficoltà, il timore, l’ansia, la paura sono elaborati con soluzioni drastiche, totalizzanti, estreme. La fuga, l’attacco, il rifiuto. Non si entra nell’analisi, non si scompone il disagio, non si cerca il buono e il meno buono. Si cerca una via d’uscita semplice, che sovente semplifica. Tutto, niente, sempre, mai sono i quantificatori della realtà.
Un esempio è il bisogno di cambiamento che molti vivono, toccati dal malessere prodotto da questo tempo che rende più vulnerabili e insoddisfatti. Alimentato da malessere e scontento, il cuore che si avvale della generalizzazione reclama un cambiamento come gesto radicale, come demolizione, aderendo a proposte accolte senza lo sforzo dell’analisi, della valutazione. Si cerca semplicità di indirizzi e la si trova in chi semplifica, radicalizzando le differenze, semplificando i messaggi. Il linguaggio usa gli assoluti e i contenuti cercano forma attraverso l’estremizzazione e la polarizzazione della realtà. Non vi è continuità di relazione con il passato, né vi sono compromessi e mediazioni tra idee differenti, che richiederebbero la fatica del discernimento, dell’analisi e della tolleranza. I confini sono precisi e solcati da generalizzazioni. Più impegnativa una strategia della distinzione. Nella relazione con il disagio questa strategia separa e differenzia, cerca e trova ciò che specificamente richiede di essere mutato e ciò che invece merita di persistere. Più faticosa psicologicamente, perché non alimentata dal credere in un cambiamento liberatorio ed epurativo. Attraverso la distinzione si cercano cambiamenti puntuali e localizzati, che si confrontano con la loro fattibilità. Il desiderio di un cambiamento è anche desiderio di mantenere un legame con il passato, con la memoria, a cui si vuole ancora appartenere e a cui si riconoscono valori da preservare.
Generalizzare o distinguere quindi sono due modi di desiderare il cambiamento che risentono anche di quanto nel nostro cuore siamo ricchi di passato e di legami, di memoria e di tradizioni a cui vogliamo ancora appartenere. Così, in questo presente che consuma e corrode il passato, che isola l’oggi dalle sue radici, generalizzando il cambiamento che si desidera stiamo anche generalizzano noi stessi, senza vedere e riconoscere da dove proveniamo. Non solo generalizziamo la realtà, ma perdiamo anche identità, che è nel saper vedere e distinguere un sè plurale, caledoscopico e anche contraddittorio.