Un solco distingue le persone in due modi d’essere dell’animo. Tra chi sa provare una sincera gioia quando percepisce le occasioni nelle quali gli altri vivono esultanza, piacere, o soddisfazione. E chi invece, al cospetto dell’altrui felicità, rimane impietrito da un cuore algido, se non persino infastidito. E piuttosto si strapperebbe un braccio che manifestare entusiasmo empatico ai beati gaudenti.
Gioire della gioia degli altri non è un gesto solo di generosità, dilata anche il proprio universo emotivo. Accorgersi della felicità che vivono gli altri, e immedesimarsi in essa, è una corroborante ginnastica espansiva, perché consente al cuore di vivere e imparare la gioia. Soprattutto quando le esperienze e le ragioni della gioia che vivono gli altri sono lontane e differenti dalle ragioni e dalle esperienze che in noi sarebbero motivo di gioia. Gioire di una gioia diversa dalla nostra ci rende capaci di una gioia più vasta e più accurata, ci educa alle possibilità della gioia.
Mentre di altra pasta chi si trattiene, contratto in una comunicazione che mai si lascerebbe andare a un sorriso elettrizzato di partecipazione all’altrui gioia. Chi si stupisce, sino alla commiserazione, della gioia degli altri, non sapendovi trovare comprensibili ragioni. Chi, stretto da un gelido sudario emotivo, non riesce a scaldarsi, ma disprezza con sufficienza la felicità che gli passa vicina. Sono modi a cui la mente fa trovare ottime ragioni per starsene lontana e per risparmiarsi, per guardare alla gioia degli altri con distacco e sufficienza. Senonché sono ragioni nutrite da un cuore pietrificato dal timore, di scoprire nella gioia degli altri le proprie incapacità e un cambiamento di cui non si ha il coraggio.
Perciò, un ottimo tonificante del cuore è, per chi non ne avesse l’abitudine, imparare a gioire della gioia degli altri. Ci si troverà capaci, strada facendo, di forme di gioia inaspettate e impreviste. Sempre che sentire gioiosamente ci stia a cuore.