Torno sul tema della punizione, già affrontato in un altro post (l’irresistibile necessità di punire). Una caratteristica del dolore è di produrre fame, reclama di essere sfamato, di gettargli in pasto cibo che possa placarlo. Vi è un tipo di sofferenza, di ferita, quella che si patisce ritenendola causata da altri, che facilmente si trasforma in un’esperienza vorace, ingorda, di vendetta, di punizione o di ricatto. Un malessere che non raramente produce il bisogno di aggredire l’aggressore, sottoponendolo a un ricatto emotivo. Tra i ricatti emotivi con funzione punitivo-aggressiva si possono riconoscere:
- la minaccia di ritorsioni se non si ottiene quel che si desidera: “Se non riconosci di aver sbagliato, non vengo con te in montagna”;
- l’autopunizione per indurre un senso di colpa utile per produrre i comportamenti attesi: “Se anche questa sera torni a casa tardi rimarrò in solitudine a deprimermi”;
- il vittimismo, per mortificare l’altro reclamando una giustizia trascurata: “Dopo tutto quello che faccio per te, dovrei meritarmi un piccolo sforzo da parte tua.”
La combinazione di dolore e aggressione è una miscela che pare inevitabile, ancorché i due ingredienti – il dolore che si vive e la modalità di sfamarlo con l’aggressione – siano quasi totalmente un prodotto psichico e persino culturale. Come sappiamo la ferita non è mai un’esperienza oggettiva, il cui dolore sarebbe solamente in relazione con i fatti vissuti. In realtà, ciascuno ha solidità e fragilità differenti che producono il modo di elaborare quel che vive attraverso il dolore, la strategia di cui si avvale la risposta emotiva per proteggere o riparare la propria integrità.
Perciò potrebbe aiutare nella consapevolezza di sé chiedersi quando e come si ricorre a strategie aggressive, per ottenere dagli altri ciò di cui si ha bisogno per elaborare il proprio dolore. Strategie che fondano la loro efficacia sulla debolezza:
- la debolezza del destinatario, quando è dominato dal bisogno di approvazione e dal timore dell’abbandono, risultando così più esposto e sensibile ai ricatti emotivi a cui è sottoposto;
- ed anche la debolezza di chi ricorre al ricatto emotivo, per sfamare il proprio dolore e ottenere un riconoscimento identitario, piegando e subordinando così la propria serenità e indipendenza emotiva alle modalità di agire degli altri.
Ancora una volta troviamo uno dei temi esistenziali più difficili da dipanare: perché e come indirizzare le potenti forze dei propri meccanismi psichici verso modi che consentono di vivere al meglio il senso e i modi d’essere che si vorrebbero nella propria vita.