Chirurgico Gustave Flaubert per quel che scrive in L’Educazione Sentimentale: “Si sentiva lieto di vivere; si faceva forza per non mettersi a cantare, aveva bisogno di espandersi, di fare qualche atto generoso, delle elemosine. Si guardò intorno, ma non c’era nessuno da aiutare. Non passava nessun pezzente; e le sue velleità umanitarie si spensero, non essendo uomo da andare a cercar lontano le occasioni”.
Forse è di tutti, o quasi, il desiderio d’essere d’aiuto, di soccorrere chi patisce privazioni o marginalità. A volte il desiderio di soccorso degli altri più vulnerabili e bisognosi potrebbe essere anche nutrito, magari inconsciamente, dal piacere di una gratificazione narcisistica, “aveva bisogno di espandersi, di fare qualche atto generoso”.
Certo non è così in ognuno, ma nell’immaginare di poter soccorre chi è carente di risorse, immiserito nella povertà, si ottiene anche un’idea di sé, una rappresentazione di sé stessi: il confronto con l’io-non-posso degli altri permette di trovare il rassicurante, se non gratificante, io-posso.
Nel gesto dell’aiuto si stabilisce una differenza con chi quel gesto non se lo può consentire, perché senza risorse per andare oltre il proprio disagio. È una differenza di potere. Il potere, pur buono e benefico, di lasciare un segno negli altri, di espandersi nella vita e nei bisogni degli altri. L’io-posso si misura sull’io posso oltre sé stessi.
Naturalmente sarebbe moralistico, e anche del tutto inutile, apprezzare l’impegno di aiuto verso chi ha bisogno di soccorso solo se fosse fondato sulla sola generosità. Perché è certamente preferibile un aiuto, pur avendo anche ritorni di gratificazione personale.
Senonché, a volte, il pur sincero slancio che vorrebbe essere d’aiuto, magari immaginando di impegnandosi in qualche associazione umanitaria, rimane lettera morta, rimane aspirazione celibe. Così, a volte, ci si accontenta di questo desiderio sterile, della sola sua presenza nell’animo, ma ottenendone un sentimento di nobilitazione di sé: poiché desidero aiutare gli altri, per il solo fatto di desiderarlo, già mi posso considerare una persona dalla parte giusta.
L’aiuto per chi è fragile, vulnerabile, ferito per trasformarsi in impegno, in tempo che viene trovato, come lo si trova quando ne va di obiettivi o scadenze imprescindibili, ha necessità di un desiderio più grande della propria gratificazione. Altrimenti rimane un piccolo slancio bendisposto, perché poi “le sue velleità umanitarie si spensero, non essendo uomo da andare a cercar lontano le occasioni.
Ci si ferma al sentimento di solidarietà che si vive, magari perché l’unica sorgente che lo alimenta è sapersi fortunati, più fortunati.