Non sembra così diffuso vivere un sincero sentimento di gratitudine. E non perché manchino intorno a noi motivi per cui essere grati. La gratitudine non riguarda il mondo che abbiamo intorno, ma la familiarità che abbiamo con la nostra incompletezza.
Nel sentimento di gratitudine riconosciamo a qualcuno, che non è in nostro potere, che si sottrae al nostro controllo, un potere sulla nostra felicità. E’ un grazie per una felicità che viviamo di cui non siamo gli autori.
Così, nella gratitudine il nostro cuore confessa la sua subalternità al mondo, sapendone allo stesso tempo esserne lieto. Rendiamo omaggio riconoscenti a un altro, alla sua indipendenza, per quel che ci dona.
Sebbene sia facile accettare cognitivamente che abbiamo limiti e confini, che molto di ciò che può essere importante per noi non ci appartiene, in realtà, profondamente e segretamente, il nostro cuore non vorrebbe mai sentirsi debole, dipendente dal mondo, ostaggio nella sua felicità dal sorriso di un’altra persona, della sua libera e autonoma esistenza. Sennonché la gratitudine nasce da questa incompletezza, da questa carenza d’essere che ci appartiene, che accogliamo perché ci fa trovare nel mondo attorno una bellezza che non sta nelle nostre mani, che esiste indipendentemente da noi. Che per questo ringraziamo quando ci tocca.
Il cuore per saper essere grato ha dunque bisogno di molta forza, necessaria per accettare la propria fragilità e la propria dipendenza da un mondo che non può dominare, ma da cui può però essere arricchito. Perché quando sei meno, e accetti di esserlo, è più facile vedere in ciò che ti circonda un dono.