Siamo a una cena tra conoscenti. Un amico, solitamente molto misurato e discreto, si avventura a raccontare una barzelletta in modo maldestro e goffo. Ci accorgiamo della sufficienza che ottiene dagli altri. Ma inconsapevole continua nella sua rovinosa performance, senza accorgersi di quanto sia poco divertente ciò che racconta.
Ci assale un irresistibile sentimento di imbarazzo per l’amico. Ci investe il bisogno di distogliere lo sguardo, di non vedere quella scena che sentiamo un po’ penosa. Lontano dagli occhi lontano dal cuore.
Stiamo partecipando a un meeting aziendale, siamo in platea. Sale sul palco un collega che conosciamo, timido e introverso. Una bella persona. Lo vediamo affondare in uno speech disastroso. Percepiamo in sala un giudizio severo verso la sua comunicazione. Assistiamo al suo impaccio e proviamo un sentimento di disagio. Un imbarazzo come se ci riguardasse personalmente.
La parola imbarazzare deriva dallo spagnolo embarazar, prestito dal portoghese embaraçar, che significa ‘allacciare’.
L’imbarazzo allaccia il nostro cuore a ciò che sta osservando, perché ciò che vediamo, come in uno specchio, sono le nostre paure. Ciò che il nostro cuore sta osservando, a cui sta partecipando imbarazzato, è un evento di solitudine. Una persona suscita negli altri, involontariamente, distanza e allontanamento, biasimo o commiserazione, quando in realtà desidererebbe esattamente il contrario, vicinanza, consenso e approvazione.
Come sappiamo vi sono emozioni dedicate ad allontanarci da ciò che il nostro cuore vive come un pericolo, un disagio. Davanti agli occhi una persona che inconsapevolmente, o suo malgrado, cade nel goffo, mentre è osservata con ciglio perplesso. Un accadimento che risveglia la nostra paura di trovarci esclusi e isolati, da un mondo che temiamo non ci accolga quando siamo maldestri, goffi, quando i nostri gesti perdono consapevolezza e si smarriscono nel ridicolo. Un malessere ci assale, da voler rimuovere questa vista, perché ci ricorda la tirannia del consenso e dell’approvazione a cui siamo soggiogati. Perché essere criticati, commiserati, disprezzati, snobbati o disdegnati significa per noi patire con fatica la solitudine del rifiuto. Ci imbarazziamo per qualcuno, in realtà è il nostro cuore che è allacciato alle sue paure e alle sue reclusioni.