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GianMaria Zapelli elsewhere

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Ricominciare o ripetere: quando la vita sembra la stessa

Ricominciare o ripetere: quando la vita sembra la stessa

Accumulandosi il tempo della vita vissuta si deposita in ripetizioni, diminuisce quel che inizia per la prima volta. Così a guardar bene la giornata ben si vede quanto vi sia di vita che si ripete, dal momento che svegli la si inizia sino a quando la si conclude.

V’è uno stesso che ritorna uguale di cui è uguale anche la gioia. Perché se lo stesso è l’abbraccio che ti accoglie quando torni a casa dal lavoro, il tempo camminando mano nella mano, oppure la gratificazione di un lavoro ben fatto, v’è da desiderarla e proteggerla questa ripetizione.

Però a volte la ripetizione si accumula con stanchezza, vissuta con un sentimento di adempimento, innescando un pilota automatico. Diventa routine, gesto svuotato, può accadere anche nel bacio prima di uscire di casa, nella domanda al figlio su come sia stata la giornata scolastica o nell’ascolto meccanico di quanto già sentito.
La ripetizione che va in onda con dosi minime di concentrazione e distratta esecuzione possiede un beneficio fondamentale: consente risparmio di energia attentiva e quindi psichica. Ripetere in modo automatizzato riduce lo sforzo emotivo e cognitivo necessari. Vantaggio certamente salutare, quando al volante dell’auto si ripete la stessa strada o quando ci si lava i denti. La ripetizione è sopravvivenza neuro-psichica, decisamente attraente per la mente.

Ovvia, allora, la domanda: quali delle nostre ripetizioni, diventate dispositivo quasi inconsapevole, spogliano la vita di esperienze che meriterebbero la gioia, la passione, la curiosità, l’amore che abbiamo per ciò che inizia, che comincia?

Da adulti, ricominciare solitamente è associato a un fallimento, a una perdita. Si ri-comincia, che  è partire da un punto che si conosce, sovente partendo da un dolore. È un moto che riaccende speranze e con esse impegno e cammino. Ricominciare è differente da iniziare, perché è itinerario che riprende una strada già fatta sperando di arrivare un traguardo differente.

Ma non vi è solo una possibilità di ricominciare quando è evidente ciò che si è perduto o sbagliato. Nel ricominciare, indipendentemente se sia preceduto da un’esperienza fallimentare, vi è una nuova disposizione dello sguardo e dell’animo. Si ricomincia anche senza spostarsi da dove ci si trova, ma mutando il modo di accogliere quel che si sta ripetendo. Il ricominciare è attivato da un abbondono, da qualcosa che ci si lascia alle spalle. E non deve essere necessariamente una perdita, una sconfitta. Ci si può lasciare alle spalle un gesto, un modo di pensare, un tono della voce, un modo di guardare. Soprattutto un modo di guardare, di impadronirsi di quel che si percepisce. Si ricomincia quando si cambia il modo osservare, interrogandosi su quel che si vede. Si ricomincia quando si cerca dell’altro, quando si guarda qualcosa che non si era considerato abbastanza.

E quando si ricomincia ciò che si sta ripetendo muta, perché il nostro nuovo atteggiamento produce un effetto sul mondo con cui si è in relazione. Si spostano abitudini, appuntamenti, collocazione degli oggetti e collocazione dei discorsi.

Sicché, quando si trovasse nella propria vita una ripetizione che ha spento qualcosa che meritava di brillare, invece che abbandonarla per cercare novità o rassegnarsi, perché non provare a ricominciare, cercare quello che non si è visto o spostare l’ordine delle parole.

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