Vi è un delicato spazio esistenziale nel quale si incunea un distacco che allontana due mondi della nostra identità: quel che viviamo e quel che ci piacerebbe vivere.
Vi è il quotidiano, nella morsa delle sue scadenze, dei suoi impegni, delle energie che richiede e vi è il desiderio, di concedersi tempo per leggere, di vedere uno spettacolo teatrale, di impegnarsi nel volontariato. Quel che ci diciamo di volere di più o di diverso nella nostra vita ci riguarda non meno di quel che effettivamente viviamo. Ed è convivenza che ci impegna.
Qualche tempo fa muore, aggredita da un tumore, una giovane donna straordinaria. Tra chi la conosce immediato un giro di whatsapp, di sincero e tanto dolore. Qualcuno scrive: “Possiamo pensare a un modo di partecipare al lutto?” immediati e convinti i post a seguire di adesione: “Bello!” “Certo.” “Ci sono”. Poi? Poi nulla. Nessun messaggio a suggerire qualcosa che si potrebbe fare per partecipare al lutto.
Eccola, divaricata, una frattura che è esistenziale, perché riguarda l’esistenza che si trasforma di essere. Sarebbe troppo facile e semplicistico credere che questa distanza tra le intenzioni e i fatti sia dovuta all’ipocrisia, alla falsità, o ad altre ragioni che squalificano l’essere umano e ne banalizzano la psiche. Invece è uno squarcio ben più tortuoso, perché tocca la fatica nel saper tenere insieme e realizzare tutto ciò che vorremmo e siamo.
Perché il desiderio scaturisce con sincerità, l’aspirazione a fare qualcosa di più o di diverso di ciò che già colma il nostro quotidiano. È autentico il sentimento, con la sua forza seduttiva, di immaginarci anche altro: volontari che aiutano, appassionati lettori, militanti attivi per una giusta causa, artefici di un gesto di memoria per una persona cara.
Ma questa verità dei nostri sentimenti rimane a volte staccata dalla vita che invece ci prende tempo, energie e azione. Come aver negli occhi, all’orizzonte, un’isola lussureggiante da scoprire e noi passarle accanto bloccati sulla nostra rotta, senza attraccare.
È commuovente e umano questo fallire del desiderio, questo arenarsi nel sogno, di poter essere anche altro e non riuscirvi. È così umano portare con noi slancio e poco dei mezzi a disposizione, aspirazione e umane limitazioni nel nostro coraggio, nelle nostre forze.
Per questo è banale e ridicolo, estraneo alla gracilità delle nostre risorse, sostenere che basta volerlo per realizzarlo. Come ci fosse data la possibilità di far sempre coincidere i due lembi della vita: quello del quotidiano e quello del desiderio.
Forse invece questa sproporzione, tra quel che viviamo e quel che sentiamo di poter essere, ci è necessaria per avere quelle preziose occasioni nelle quali invece iniziamo effettivamente un romanzo dopo tanto tempo, aderiamo concretamente a un’associazione umanitaria, scendiamo in piazza, o anche solo proponiamo un’azione che aiuti a ricordare chi abbiamo avuto cara. Occasioni in cui, per poco, lo spazio esistenziale che ci tormenta si annulla, e siamo tutto ciò che vorremmo essere.
Certo, seppur siamo destinatati per natura a credere di poter essere di più di quel che viviamo, forse questa frattura diventa esiziale quando troppe volte ci si accontenta di averlo solo desiderato un gesto di amore per un’amica. E viene condonato con un poco di rammarico, ma fondamentalmente con benevolenza, se poi nei fatti non si realizza.