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GianMaria Zapelli elsewhere

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Quel che si cela all’intimità

Quel che si cela all’intimità

L’intimità che si costruisce giorno dopo giorno tra due persone, cementata dall’amore, è una prossimità che genera una conoscenza dell’altro minuziosa e accurata, tanto da sentirne la vastità. Ma l’intimità non solo avvicina, aggiungendo conoscenze di dettaglio della persona amata. L’intimità sottrae anche qualcosa. Vi sono gesti, modi di essere, espressioni del linguaggio, persino un tono nella voce, che non compaiono tra persone che sono intime. Vi sono modi dell’identità, che per quanto si possa essere intimi, rimangono sconosciuti, perché riservati ad altri e in altri luoghi. Una certa forma nell’essere cortesi, un certo modo di dire le cose, pensieri che si comunicano. Qualcosa che si è, ma che non si manifesta nell’intimità.

Nella vicinanza dell’intimità il tempo ha una sua inerzia, diventa colmo e lento. Ciò che si costruisce creandolo di intimità diventa così consistente e pervasivo, cosi totale, da diventare uno stesso che si ripete, che si ha piacere a ripetere, di cui ci si abitua con rassicurazione e con facilità a ripetere. Così, più facilmente, può accadere che sia nella relazione con altri, quelli meno intimi e vicini, saltuari e occasionali, dove ci rinnoviamo e mutiamo. Quando siamo più stranieri agli altri, quando siamo impegnati in contesti differenti da quelli che condividiamo di quotidianità con le persone prossimamente amate, quando parliamo con uno sconosciuto su un treno, quando dibattiamo un problema con un collega, quando discutiamo con qualcuno di un tema mai affrontato con la persona amata, portiamo alla luce identità e modi di essere che non sono inclusi nell’intimità.

Così accade che lontano dalla persona che ci è più vicina, che amiamo, che giorno per giorno abbiamo negli occhi e lei ha noi nei suoi, qualcosa si produca e che le rimarrà ignoto: modi di pensare, o di comunicare che pur ci paiono di valore e belli, ma che possono apparire solo là dove non siamo intimi. Forme di comunicare e di esistere che riserbiamo ad altri, e non a chi ci è più intimo. 

Parrebbe una carenza di cui rammaricarsi. Forse invece è la condizione che spetta ad ogni essere umano, di non poter mai incontrare alcuno da cui essere completamente conosciuti e compresi, perché nel poter essere sempre di più di ciò che qualcuno può capire di noi si afferma l’irriducibile e necessaria responsabilità di rispettare la distanza dall’Altro. Perché nessuna persona può mai essere totalmente essere imprigionata e rinchiusa in chi crediamo sia.

Persino nell’intimità dell’amore, che più avvicina due persone, vi è anche l’essere un po’ estranei, perché il troppo vicino annulla il lontano, e diventerebbe reclusione. Mentre occorre anche il lontano, ciò che non viviamo nell’intimità, quel nostro essere altrove, con modi, pensieri ed emozioni che non sono riproducibili nello spazio in intimo e protratto negli anni della vicinanza. Fuori dall’intimità imparando noi stessi in forme che ci completano e ci moltiplicano, restituendoci l’eco della nostra esistenziale e necessaria solitudine.

 

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