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GianMaria Zapelli elsewhere

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L’invisibile che vediamo

L’invisibile che vediamo

In tutto ciò che vediamo vi è anche l’invisibile. In quel che si mostra agli occhi è sempre presente una realtà che si sottrae, irriducibilmente invisibile.

Vediamo delle mele disposte in una cassetta. Ne percepiamo il lato rosso che si offre ai nostri occhi e per certo le vediamo tutte rosse, compreso il lato che invece ci è nascosto. L’esperienza si impadronisce degli occhi attraverso quel che abbiamo già visto assemblando in quel che pensiamo di vedere anche l’invisibile.
Un romanzo che si apre iniziandolo lo si direbbe fatto tutto di pagine bianche stampate, anche se non si sono viste ancora tutte. Oppure, un volto di profilo di una persona che si osserva seduta a fianco a noi nella metropolitana lo si crede simile nel lato che rimane nascosto.

E vi è, soprattutto, l’invisibile celato nei gesti, nelle espressioni, nelle parole, che reclutiamo in quel che vediamo, colmandolo di contenuti ottenuti dalla nostra vita già vissuta, sottraendolo all’enigma del suo occultamento.

Ogni realtà ha un suo lato irreperibile, perché ciò che si guarda lo si guarda sempre da una certa prospettiva. Vivere è affidarsi a uno sguardo che vede di più di quanto percepisce. Lo sguardo si espande verso ciò che vi si sottrae, per includere l’invisibile, con cui completa il visibile e ottiene un intero da poter indicare e credere di conoscere. Così la vista non corrisponde al visibile, perché si impossessa dell’invisibile per farne contenuto a cui consegnarsi e poter nominare confini e certezze.

Si può delineare, allora, una diversa sintonia nel modo di essere abitati dal proprio sguardo. Tra chi lo preferisce, lo reclama e lo richiede saturo, idoneo, con la capacità di dare contorni e pienezza, realtà e attendibilità; uno sguardo che toglie all’invisibile la sua irriducibilità, per assegnarlo al regime dell’esperienza, del sapere che nulla lascia al dubbio.

E chi considera l’invisibile un margine di ignoto, nella differenza tra quel che si percepisce e quel che si vede. Così riconoscendosi in complicità con l’invisibile lo sguardo incespica, smarrisce i bordi, produce interrogativi e curiosità, diventa movimento e perde staticità. Perché gira intorno, percorre il periplo dei significati, della conclusioni, della verità, per trovare sempre un altro invisibile che gioca a nascondersi. E va bene così.

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