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GianMaria Zapelli elsewhere

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Io posso? Sì, forse, magari no

Io posso? Sì, forse, magari no

Cosa pensiamo di ciò che non riusciamo a fare, o essere, anche se lo apprezziamo, o addirittura lo desideriamo?
Magari ci diamo: “Sono fatto/a così.” “O lo so fare, oppure no.” “E’ la mia natura.” Oppure invece, davanti a ciò che non ci riesce e ci spaventa persino, ci diciamo: “Se mi impegno potrei farcela.” “Posso impararlo.”

Una caratteristica di ciò che viene chiamato il nostro mindset è l’atteggiamento cognitivo ed emotivo verso noi stessi. E’ la sintassi del nostro sottosuolo, per lo più involontaria, che ci predispone a modi specifici di affrontare le nostre scelte e le nostre esperienze, secondo l’opinione che abbiamo delle capacità che possediamo e, soprattutto, della nostra possibilità di mutarle.
Perché si vivono esistenze differenti credendo che abbiamo capacità immutabili, senza alcuna possibilità di cambiamento, pur desiderandolo. Piuttosto che credere che le nostre attitudini e le nostre abilità possano cambiare, mutare e trasformarsi, se lo volessimo e ci impegnassimo.

Ognuno possiede, più o meno consapevolmente, una teoria implicita della propria intelligenza, delle proprie risorse cognitive ed emotive. Possiamo così riconoscere due stili nelle convinzioni che riguardano noi stessi: chi ha una convinzione entitaria di sé, che concepisce l’intelligenza che possiede, e persino la natura delle emozioni che vive, come fossero una dotazione fissa, stabile, un’entità, appunto. “Sono così, non mi piacere stare sotto i riflettori, e non ci posso fare nulla.” E chi invece ha un mindset incrementale, convinto che le proprie abilità siano il risultato delle esperienze vissute. E per questo possa decidere e ottenere un mutamento di sé. “Posso cambiare la mia timidezza.”

Tendenzialmente, chi ha una visione di sé statica – “O lo so fare, oppure no” – si orienta verso compiti che sa già di poter affrontare. Evitando così fallimenti che giustificherebbe come l’esito di una propria immodificabile incapacità. “Lo sapevo che avrei fallito.” Una strategia preventiva che consente di escludere un disagio, ma che si sottrae anche alla possibilità di vivere le esperienze fallimentari come occasioni di apprendimento e plasticità. E nel caso si incappasse in una sconfitta facilmente la si potrebbe credere invitabile, poiché conseguenza di capacità che si è convinti di non poter modificare. “Non fa per me.”

Quel che crediamo di noi stessi, considerando impossibile o possibile il nostro mutamento, ci pre-dispone al nostro futuro, a ciò che otterremo. Poiché il nostro futuro è largamente condizionato delle nostre convinzioni di poter essere anche diversi

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