“Se hai lacrime sul viso non rimanere in piedi sotto la pioggia” è un detto raccolto in Ghana.
Che voce diamo al nostro dolore e da chi cerchiamo ascolto e aiuto?
Perché sia praticabile la toccante indicazione che ci viene dalla cultura ganese, non a caso africana, dove sopravvivere significa poterlo fare insieme, e mai da soli, vi debbono essere alcune condizioni:
- l’appartenere a una comunità di legami che vive intimamente la disponibilità e il desiderio di ascoltare e soccorrere il dolore degli altri,
- la fiducia verso la possibilità che le nostre lacrime siano viste e suscitino empatia, qualora non le nascondessimo,
- la responsabilità di non abusare dell’ascolto e dell’aiuto che ci può arrivare dagli altri.
L’ordito che sostiene e dà identità a una comunità si rivela quando si affrontano le difficoltà, quanto viene messo in contrapposizione l’io e il noi, quando la scarsità, la vulnerabilità producono distanze o vicinanze, quando il tempo è insufficiente e genera la scelta di cosa possa essere trascurato, quando la fiducia ha radici oppure ha rancori. Così allora può accadere, senza comunità di cui sentirsi parte, che le lacrime rimangano nascoste sotto la pioggia, oppure siano abusate, trasformate in rivendicazione o recriminazione.