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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
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Ingenuità e ignoranza, le domande che mancano

Ingenuità e ignoranza, le domande che mancano

Differenti eppure simili, ingenuità e ignoranza. La prima si tende a perdonarla, la seconda non si dovrebbe.

Ciò che hanno in comune è una carenza di domande. Molta della conoscenza che possediamo dipende dalle domande che ci facciamo e ci sappiamo fare, ingenuità e ignoranza condividono una scarsità di conoscenza prodotta da una povertà di interrogativi.

Nell’ignoranza la conoscenza insufficiente è causata per lo più da una pigrizia nel porsi domande. Si ignora perché non ci si è fatti la domande necessarie, per mancanza di volontà, interesse o attenzione verso ciò che sarebbe stato meglio conoscere e approfondire, se non addirittura doveroso.

L’ingenuità è un’ignoranza apparentemente meno responsabile, perché causata da domande sbagliate, domande a cui è mancata l’esperienza di porre quelle più corrette. Nel pensiero ingenuo è insufficiente l’esperienza capace di indirizzare nel porsi le domande più pertinenti su ciò che si vive e si incontra. Finendo così per sbagliare direzione.

Porsi domande è forse una delle modalità più esplicite e concrete della responsabilità. E’ attraverso l’interrogativo che scopriamo, conosciamo e comprendiamo la realtà. E’ attraverso l’interrogativo che diventiamo consapevoli. La responsabilità di cui dobbiamo rispondere è precisamente questa: di porci interrogativi. Perché non ci assolve non sapere, se avevamo la possibilità di conoscere, se avevamo la possibilità di porci una domanda. Non rispondiamo solo di ciò che sappiamo, ma anche dello sforzo che abbiamo fatto per conoscere. Perché abbiamo la responsabilità della conoscenza, di rispondere di ciò che facciamo di quella e con quella conoscenza. Perciò l’ignoranza non rimuove in alcun modo la nostra responsabilità, quando è il prodotto di una povertà di impegno nell’impossessarci di conoscenza e consapevolezza.

Più sfumata e ambigua la responsabilità dell’ingenuità. Una condizione che viene associata ai primi anni di vita, in cui si è privi di esperienze e conoscenze, senza la possibilità di porre le giuste domande e avere le corrette consapevolezze. Al punto che ingenuità diventa sinonimo di innocenza, ovvero assenza di responsabilità. Ammantandoci di questa alluredi innocenza, a volte ci si dice di essere stati ingenui, preferendola di gran lunga all’ignoranza. Potendo così beneficiare del conforto benevolo dell’irreprensibilità. Quasi avessimo una carenza di esperienze quale quella di un bambino. “Sono stato ingenuo ad innamorarmi così” “Sono stata ingenua a fidarmi del mio capo” “Sono stato ingenuo nel credere che sarebbe stato onesto.” Ma è un sotterfugio dell’inconscio scambiare ingenuità con ignoranza. Un modo per evitarci il disagio della nostra responsabilità, verso le domande che potevamo porci e avremmo dovuto porci.

E’ faticoso ammettere da adulti che abbiamo perso l’ingenuità e ci rimane solo l’ignoranza. Anche se rimpiangiamo la vacanza della conoscenza in cui si trova l’ingenuità del bambino, accettare però la nostra ignoranza in ciò che ci accade, cercando dove avremmo potuto domandare di più o meglio, è un modo, ancorché scomodo, di essere adulti e, soprattutto, autori della nostra vita. Ma sovente il cuore preferisce credere nella lievità dell’ingenuità, pur pagando il prezzo dell’ignoranza.

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