Sappiamo di esistere. Sembra banale, se non fosse che fonda la nostra esistenza. Perché accanto alla presa di possesso istintiva e immediata della vita, accanto alla risposta automatizzata delle percezioni, delle emozioni o dei comportamenti, simile a tutti gli altri animali, abbiamo la coscienza di esistere. Abbiamo in dotazione la possibilità di interrogarci, di chiederci di noi stessi, delle ragioni e delle condizioni che ci rendono persone, che distinguono le nostre scelte dal caso. Sapere di esistere ci consegna la possibilità di prenderci cura di noi stessi, sottraendoci all’istinto che ordina meccanicamente la mente e i suoi prodotti. Una consapevolezza che nella sua espressione più essenziale significa sapere di avere alternative, sapere che possiamo essere altro. In ogni nostro attimo di vita, in ogni frammento del nostro tempo vissuto, possiamo impossessarci di quel che pensiamo, sentiamo e agiamo, per mutarne la direzione.
Ognuno è diverso nei modi di dedicarsi al sapere del proprio esistere, interrompendo quel che vive spontaneamente, affidato all’istinto o al fluire dalle abitudini, per considerare e interrogare la propria esistenza, sapendola sempre potenzialmente più grande di quanto si riesca a comprendere ed essere. Per questo, sapere di esistere è allo stesso tempo una libertà e un fardello, una dotazione e una condanna.
Vi è chi vive la possibilità di sapere di sé con un atteggiamento che si potrebbe chiamare esistenziale. Poiché non si ferma ad interrogare le emozioni che prova, gli stati d’animo da cui è toccato, non rimane nel perimetro della vita che reclama attenzione quando si vive dolore o disagio. Vi è chi avverte come imperativo e irriducibile il bisogno di interrogarsi sull’esistenza umana nella sua natura universale, incessantemente sfuggente, incompleta, vulnerabile, poliedrica, percependola come un enigma da interpellare, oltre la sua versione più immediata e quotidiana, oltre a ciò che si vive spontaneamente.
Un’inquietudine esistenzialista che ha assunto anche caratteristiche epocali, manifestandosi anche in tempo recenti nei movimenti artistici – nella letteratura (es. Kundera, Peter Handke), nel cinema (es. Antonioni), nella musica (es. De André) – nei programmi dei media, nei movimenti sociali e politici con contenuti sensibili dell’esistenza come tema umano, come questione dell’essere umano, e non solo come storia e vicenda soggettiva del quotidiano o dei singoli.
Ma, oggi, dedicarsi a un sapere di sé esistenziale potrebbe essere una condizione privilegiata, perché potrebbero mancare le energie per interrogare la propria esistenza, per sottoporla al travaglio della domanda sulla sua essenza e sulle sue possibilità. Forze oggi non vi è posto nell’animo per guardare all’orizzonte distante ed inafferrabile dell’enigmatica natura dell’uomo, troppo occupati dall’inquietudine del presente e da emozioni incerte e smarrite che rinchiudono nell’adesso, svuotando la voglia di guardare l’infinità in cui è gettato l’uomo.