Stiamo assistendo a un nuovo contenuto del fronteggiamento sociale: di riconoscimento e apprezzamento dei simili e di allontanamento dai differenti. Alle conosciute differenze che ci uniscono e ci separano – di status economico, di educazione culturale, di appartenenza geografica – se ne è aggiunta un’altra, socialmente tangibile, nelle prassi della convivenza: la differenza nella relazione con il timore.
Il timore di poter essere contagiati non è più un’esperienza privata, si è trasformato in messaggio. E’ anche comunicazione, modi di essere in relazione agli altri, che producono sentimenti di affinità o di estraneità nel sentimento di rischio che si vive. Chi adotta precauzioni minuziose ed estensive, chi indossa la mascherina ispirandosi agli indirizzi governativi e chi la relega sull’avanbraccio, mostrando di giudicare pavide le persone che ne fanno uso.
Ogni segmentazione sociale, che genera solidarietà e conflittualità, tolleranza e intolleranza, si alimenta di giudizi, di un sentire valutativo che accoglie o condanna gli altri. Sentirsi simili o sentire estraneità. Così i modi di vivere il rischio Covid non è più un’esperienza emotiva intima e riservata, produce schieramenti, fazioni, opposizioni, giudizi e meritocrazie.
L’emozione del rischio a cui si teme di essere esposti si è trasformata in una logica del valore sociale che soppesa l’altro, stabilendo classificazioni e classi sociali. Il timore, nella sua esperienza individuale, è diventato un criterio di vicinanza o distanza sociale.
Camminare per le vie del centro non è più solo una società che è differenziata per gli indizi di benessere economico che rivelano le persone, o per la natura etnica di origine, oggi lo è anche per come interpreta il rischio attraverso l’uso o il non uso della mascherina e nei comportamenti di convivenza e vicinanza sociale. Indossare o meno la protezione sul viso non è più solo un atto sanitario, ma è una dichiarazione che schiera i sentimenti, i valori, il giudizio che abbiamo degli altri.
Un’ennesima forma, organizzata dal timore, a cui siamo psicologicamente predisposti, di stabilire simili e diversi da noi.