Un presente senza lutto
L’esperienza del lutto riguarda il cuore quando deve affrontare il dolore di una separazione: un legame con qualcuno, una speranza, un’aspirazione, una convinzione che si ha di se stessi. E’ un’esperienza faticosa perché impegna nel ricostruire e risanare qualcosa di sé andato perduto, che era entrato nella nostra vita con importanza e necessità. Il lutto è un’esperienza di coscienza e di precarietà.
Forse uno degli accadimenti più significativi di questo tempo, anche se meno visibile, è la scomparsa del lutto.
Da tempo stiamo vivendo in una realtà che costringe costantemente ad abbandonare qualcosa. Confini, abitudini, ruoli professionali, sicurezze. I distacchi sono diventati così numerosi e incessanti da non aver abbastanza risorse emozionali per viverli attraverso il travaglio del lutto. Ma, quando il cuore a lungo e ripetutamente deve affrontare un disagio, attiva strategie per eluderlo, per immunizzarsene. Costretti a un mondo che richiede costantemente separazioni abbiamo imparato a evitare la faticosa e dolorosa esperienza del lutto e dell’elaborazione della perdita.
L’elusione del lutto, per proteggere un bisogno di sostenibilità emozionale, avviene preventivamente. Vengono soppresse le premesse che potrebbero portare a un’esperienza luttuosa di perdita: si evita la fatica del lutto riducendo l’investimento affettivo sulla durata. Non ci si lega, non ci si affida, non si fa affidamento su qualcosa che possa durare nel tempo, se non se ne è certi. La cresciuta possibilità di non avere ed essere domani quello che abbiamo e siamo oggi ha prodotto una difesa preventiva, rivolata a spegnere e limitare le speranze.
Il timore di dover soffrire di una perdita architetta un inconscio che si cautela riducendo il suo legame con il mondo, la cura di speranze che richiedono impegno e determinazione, l’apertura a legami che necessitano di pazienza e tolleranza. Intimoriti dalla possibilità di dover vivere separazioni nel futuro, ci accontentiamo del presente, ci areniamo nel presente. Fuggiamo dal timore del dolore di doverci distaccare da qualcosa in cui abbiamo creduto e sperato e otteniamo un’anestesia emotiva, diffidente e senza un futuro nel quale credere.
Cambiamenti luttuosi e pienezza
Vi sono cambiamenti che per avvenire devono passare attraverso separazioni e abbandoni: di abitudini nell’agire, di timori, di punti di vista, di relazioni, di aspetti a cui si è ancorati. Altri possibili cambiamenti richiedono invece di non farsi intimorire e paralizzare da un possibile fallimento nel futuro, sono i cambiamenti tesi verso qualcosa che potrà essere realizzato e goduto domani, al prezzo di uno sforzo di oggi. In entrambi i casi cambiare richiede di dialogare con il lutto, di averlo nel proprio cuore come possibilità, senza farsi dominare o spaventare dal possibile dolore che potremmo vivere se fallissimo, oppure se scoprissimo di dover abbandonare qualcosa a cui siamo legati.
Senza l’esperienza del lutto evitiamo la sua esperienza di dolore, ma smarriamo anche l’esperienza di riconciliazione con noi stessi che ci consente. Quando accade che qualcuno a cui ci siamo affidati si separa da noi, quando accade che un’idea in cui avevamo creduto non si realizza, in questo cedimento, in questa morte, apriamo un varco e una voce all’Io, alla sua finitezza, al suo essere calato nella realtà. Nel lutto che ci ferisce scopriamo e proviamo le misure dei nostri sentimenti e del loro cammino nel mondo.
Il lutto ci insegna, ci potrebbe insegnare, a familiarizzare e dialogare con lo scarto, la mancanza o il fallimento, che non sono solo dimensioni che annichiliscono, sono anche aperture, ferite, che ci consentono di dialogare con noi stessi. Dal lutto, con la sua elaborazione della perdita, possiamo imparare una misura benefica della vita, nella quale ciò a cui si lega, per essere pienamente compreso e vissuto, ha necessità di accogliere la sua perdita e il suo abbandono.