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GianMaria Zapelli elsewhere

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Il senso dell’io per la magia

Il senso dell’io per la magia

La natura del pensiero magico è di vedere ovunque legami di causa ed effetto tra gli eventi e gli esseri viventi, senza limitazioni empiriche.

“Quando arrivo io porto sempre il sole “.

Ci sono delle persone che raccontano la loro identità avvalendosi di un pensiero magico. Nel raccontare chi sono trovano in se stesse il potere di essere in relazione con eventi che per gli altri sono estranei alle loro possibilità. “Trovo sempre un posto libero”. La realtà perde la sua casualità, cessa di essere estranea e staccata, caotica. Ci si attribuisce, compiaciuti di questa originalità, facoltà di propagarsi oltre i limiti umani. L’io si espande sino a possedere capacità che sottraggono al caso la sua libertà. E’ il bisogno di dotarsi di un’identità: Chi sono io? Ovunque vada porto sempre il sole.

Il bisogno di pensiero magico, di credere di avere una connessione con l’ingovernabile, si presenta anche nel rapporto con il negativo, con il disagio. “Capitano tutte a me”. “Sono sempre sfortunato” “Attiro su di me le sventure.” Se si soffre, se si vive un dolore o un’amarezza, che almeno abbia una sua ragione, più forte dell’evento, più forte del singolo accadimento. Che questa ragione sia la mia natura, di indirizzare la realtà catalizzandola su di me con le sue sventure. Meglio pensarsi con un potere di negatività, che soffermarsi sul singolo evento e scoprire che non riguarda la magia, ma ciò che non si è saputo capire o fare in quella specifica occasione. Meglio pensare di essere sfortunati, con un destino soprannaturale di sventura, che scoprire che in realtà si è avuta una modalità tutta umana di essere stati incapaci, deboli o timorosi. Meglio pensarsi unici nella sventura perenne, che umani e deboli nell’incapacità localizzata.

Anche nelle relazioni con gli altri, soccorre a volte il pensiero magico. “Sono riuscito persino a far perdere la pazienza anche a te”. Anche in questo “persino” si cela un pensiero di potenza sovrannaturale. Non vi è più l’irriducibile autonomia delle persone, non vi è più il fatto che nessuno può provocare nulla negli altri, senza che vi sia in loro una libera partecipazione. La presenza dell’avverbio “persino” rivela la sottile compiaciuta convinzione di possedere qualità tali da poter dominare la libertà anche dei più pazienti. La loro pazienza perduta diventa prova di una proprietà magica e unica della nostra identità.

Insomma, quando non ci bastano o non abbiamo abbastanza contenuti di nostra proprietà, quando incontrare noi stessi potrebbe essere faticoso, ecco che ci impossessiamo della magia, che toglie alle singole situazioni e ai singoli eventi la loro libertà, per trasformali nel prodotto della nostra identità. La magia viene in soccorso al nostro bisogno di sentirci unici e di proteggere la nostra autostima.

 

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