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GianMaria Zapelli elsewhere

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Luci e ombre della passione

Luci e ombre della passione

Passione è una parola attraente, seducente. Quasi un certificato della vita vissuta al meglio. Esserne privi sembrerebbe una condizione di scarsità dell’indispensabile. Eppure si tratta di uno stato ambivalente, attraverso il quale si ottiene molto, ma anche si perde.

La parola passione contiene infatti due traiettorie. Patire (da cui “passione”) non solo significa soffrire, ma anche subire, essere passivi e dipendenti. La passione, quando si mette in moto, si impossessa di chi la vive, si impone, sequestra le energie, l’attenzione e il desiderio verso ciò che sta appassionando. Tanto da monopolizzare l’attrazione, rispetto a tutti gli altri possibili interessi che si potrebbero avere. Sicché, con la sua richiesta imperativa, al punto da non temere di soffrirne, la passione ottiene anche di estraniare, di rendere subalterni a ciò a cui è dedicata. 

Perciò se la passione è certamente slancio, che muove verso ciò da cui è attratta, generando un’energia straordinaria, capace di affrontare difficoltà e insuccessi, è anche movimento che ha un’intensità tale da partorire una dipendenza. 

Ciò di cui si ha passione è così imperativo e dominante da produrre una perdita di se stessi. La perdita della propria capacità di varietà, di alternative, di attenzione ad altre occasioni di esperienza e di vita. La passione ingaggia il totale coinvolgimento della personalità, monopolizzando l’animo in un’unica disposizione. Tanto essere presenza esistenziale problematica, perché tutto ciò che non entra a far parte della passione – emozioni, idee, decisioni – viene eclissato in secondo piano, se non espulso. 

Allo stesso tempo la passione produce un movimento che porta altrove, ottenendo una trasformazione, attraverso il soffrire per qualcosa o qualcuno. L’irresistibile e accentrante bisogno di colmare una carenza o soddisfare un desiderio è tale da spingere a oltrepassare i propri limiti. La passione rende eccessivi, coraggiosi, sproporzionati.

Forse per questa sua ambiguità, nel suo essere assoluta e dominante, nella sua tensione che sottomette, tanto da oscurare il resto delle vita, la passione è seducente, inebriante. Perché ci avvicina a un’esperienza estrema, impensabile, radicale e indicibile, consentendocene un afflato: l’esperienza della morte. Perché, come sappiamo, esiste nel cuore una sotterranea attrazione verso la morte, anche se indicibile, non meno di quella che abbiamo verso la vita. Nella passione veniamo un po’ meno a noi stessi, conquistati e irretiti da un desiderio totalizzante che ci fa scomparire e allo stesso rinascere.

PS. E’ piuttosto comune ritenere di vivere con passione la vita. Narcisisticamente gratificante. Forse, meno facile è viverla effettivamente, sino in fondo, perché esistenzialmente estrema.

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