Un uomo batteva le mani ogni dieci minuti. Interrogato sul perché di questo strano comportamento, rispose: “Per scacciare gli elefanti.” “Elefanti? Ma qui non ci sono elefanti!” e lui: “Appunto.”.
A volte abbiamo modi di agire disfunzionali prodotti dalle paure. Non dalla loro necessità. Senonché le nostre paure, nel cercare ragioni che le rendono necessarie, creano legami sconsiderati. “Lo so di essere ossessivo, ma se non lo fossi non mi riuscirebbe così ben quel che faccio.” “E’ vero, so che essere tanto severa con me stessa mi priva di gioie e leggerezza, ma se non lo fossi non sarei arrivata dove sono.” “D’accordo non mi fido, ma se mi fidassi dovrei gestire molti più problemi.” E così via.
Come se la nostra identità, e tutta la sua smisurata dotazione di capacità, avesse come condizione indispensabile per giustificare chi siamo, e dove siamo, la presenza di quella modalità palesemente disfunzionale. Come se perdendo la nostra ossessiva precisione, o la nostra prigione che ci impone di non sbagliare mai, oppure la nostra diffidenza ci privassimo della condizione fondamentale che spiega chi siamo e quel che siamo capaci.
Ci frena la paura, il timore di quel che potremmo essere se cercassimo di accettare un po’ di disordine, o di non assicurarci sempre di essere perfetti oppure ci fidassimo di più. Ci frena un sentimento di perdita sproporzionato e irragionevole. Sebben i nostri timori di smarrirci ci trovano apparenti ottime ragioni.
Battiamo le mani per tenere lontani gli elefanti e ci convinciamo che vi sia una relazione di causa ed effetto. Ci aggrappiamo ai nostri modi che non ci rendono migliori, trovandovi ragioni che li rendono necessari per essere ciò che siamo.