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GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
per una vita consapevole,
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I pregi di sapersi pentire

I pregi di sapersi pentire

Ci si pente. A volte perché si è deviato da una legge divina nella quale si crede. Altre volte, più laicamente, ci si pente perché si è arrivati tardi: a capire quel che sarebbe stato meglio fare o non fare, oppure dire o non dire.

Pentirsi è un’esperienza con il senno di poi, una saggezza a scoppio ritardato. Si comprende, dopo, quel che sarebbe stato meglio. E se soffre.

Il pentimento ha una funzione indispensabile nella gestione di sé stessi. Tanto da avere matrici più profonde delle sue applicazioni religiose o culturali, radicate nelle predisposizioni neuronali, e quindi psichiche, della nostra mente.

Come sappiamo la nostra mente, nella sua regolazione neurobiologica, è organizzata per assicurarci una condizione: la sopravvivenza. Anche nel caso del vissuto dolente del pentimento è presente questo motore. Il dolore, il rammarico, che si prova è mosso dalle stesse strutture neurosinaptiche che si attivano quando siamo a rischio di rifiuto sociale, quando ci sentiamo abbandonati, isolati. Ovvero, la nostra mente si allarma e produce una reazione di dolore quando mettiamo a rischio una delle condizioni indispensabili e vitali per la nostra sopravvivenza: essere insieme, essere parte di una comunità.

Il dolore che si prova nel pentimento è associato a un riesame dei nostri comportamenti, a una revisione critica di noi stessi. Così, nel riconsiderare i nostri modi di agire passati, e soffrendone per la loro inadeguatezza, stiamo indirizzando quelli futuri, attraverso la funzione del dolore, il più potente agente di futuro. Poiché la mente è molto più sensibile a ricordare il dolore della gioia, l’esperienza disagevole del pentimento fissa nella mente una memoria di attenzione e cautela, perché non si ripetano nel futuro modi di agire simili, che potrebbero causarci un rifiuto, una perdita di stima e un distacco dagli altri.

Ma, come sempre, le regolazioni biologiche della nostra mente assumono in ogni persona caratteri unici, modellati dall’esperienza, che ne determina l’effettiva applicazione. Così si possono vivere pentimenti eccessivi, sensi di colpa paralizzanti, esasperati dal timore di sbagliare, di rimanere soli, di essere criticati o di essere persone poco apprezzabili. O, all’opposto, lo si rifugge, negando o rimuovendo la comprensione delle occasioni nelle quali si poteva essere persone migliori. Poiché l’ammissione di un proprio errore impegnerebbe in uno stato psichico di cui si è incapaci: saper riconoscere i propri componenti errati, senza danneggiare severamente la fiducia in sé e nel proprio valore.

Pentirsi, proprio perché doloroso, è una potente e indispensabile risorsa per amministrare la propria vita, per calibrare sé stessi, attingendo dal passato ciò che può renderci migliori. Una risorsa che non dovrebbe inquinare eccedendovi o rimanere aridamente inutilizzata.

 

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