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GianMaria Zapelli elsewhere

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Quel che ci rimane della sofferenza

Quel che ci rimane della sofferenza

Soffrire è un faticoso farmaco psicologico. Perché il dolore ci concentra, ci raccoglie totalmente in uno stato d’animo. Un raduno emotivo, pur penoso, che ci occorre per affrontare la ferita che ci ha danneggiati. Il sentimento di dolore preleva le nostre attenzioni e ci serve per riparare il danno della ferita. Un medicamento che per lo più si basa sulla concentrazione che dedichiamo a noi stessi, ai nostri sentimenti. La sofferenza rende la nostra coscienza l’unico argomento di cui ci occupiamo. Produce un eccesso di sé. Ed è questa abbondanza di noi stessi che funziona come solvente del dolore, come elaborazione psicologica. Allo stesso tempo, è un farmaco di cui il nostro cuore non può abusare. E solitamente, prima o poi, cessa. Ma ogni ferita produce conseguenze e si trasforma in futuro. 

Possiamo cronicizzare il dolore, facendone una prigione identitaria. O possiamo rimuovere le ragioni della ferita, trasformandola in normalità, accettando perdite, separazioni, legami tossici, senza più soffrirne. Cessiamo la sofferenza adattandoci alle ferite, rinunciando a cambiare le loro cause. Ci adattiamo a un capo che è stato scorretto, o a un legame che ci ha fatto patire. Ferite che lasciano dietro di sé cambiamenti che ci impoveriscono, che ci imprigionano nella resa, nella nostalgia, nel rammarico.

Oppure possiamo cercare di trasformare le ferite in un’epifania, nella nascita di nuovi modi di agire, di nuove scelte, di nuove esperienze. Possiamo chiederci come e dove il dolore che stiamo vivendo ci possa aiutare. Cosa ci stia insegnando che richiede di essere difeso, protetto, anche rischiando altro dolore. Invece che essere espropriatati nel dolore, sottoposti alla sua marea, potremmo chiederci quali dei suoi ingredienti, che pur ci stanno mettendo alla prova, possono consentirci di saldare i pezzi feriti e corroborare i nostri modi di essere.

Possiamo imparare dalla sofferenza che se ne esce. Che, nella maggior parte dei casi, non è per sempre. Che è meno pericolosa di quanto la mente ci vorrebbe far credere. Che possiamo affrontarla e tollerarla. Che ne siamo capaci. Come scoprire che le paure che ci avevano terrorizzato possono essere in realtà vinte. Impariamo che la sofferenza ci può assalire, ma che possiamo conservare la nostra integrità. Non ci frantuma. Allora potremmo anche imparare che dovesse accadere di nuovo ne saremo capaci. Che quindi possiamo cercare tenacemente, con desiderio e volontà di essere la persona che vogliamo essere. Rischiando per questo, per questa nostra forza di crederci, di poter soffrine. Ma sapendo anche che quella possibile sofferenza non sarà per sempre e avremo dell’oro che unirà i nostri cocci. 

Possiamo imparare a non aver paura di rivivere un dolore. Perché sarebbe ben più addolorata e impoverita la nostra vita se per il timore del dolore avessimo rinunciato al nostro meglio.

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