Difficile raccontare cosa sia il sublime. Eppure ne sappiamo l’esistenza, a volte ne abbiamo avuto l’esperienza.
Bellezza e sublime sono due esperienze non distanti. Perché ci concentrano su come viviamo quel che percepiamo. Non ci fanno conoscere la realtà, perché avvengono prima del pensiero, prima della riflessione. Ci fanno sentire la realtà. Ci immergono in essa, con gli occhi e le emozioni.
Ne abbiamo bisogno. Perché ci consentono di sentirci oltre i nostri confini, in unione con il mondo che ci avvolge. Toccati, con ammirazione e meraviglia da quel che percepiamo. La bellezza e il sublime sono il modo che il nostro cuore ha di sapersi, a volte, in paradiso.
Ma non sono lo stesso, bellezza e sublime. Kant si è dedicato accuratamente alla differenza tra bellezza e sublime. Diverse per percezione delle forme e delle misure.
Il bello è percepito con forme, qualità e perimetri. Il sublime è invece ciò che percepiamo irriducibile a una misura, a un perimetro. Se il bello ha proporzioni il sublime è informe e illimitato. E’ bello un quadro che possiamo comprendere, una pezzo musicale che possiamo ricordare. E’ sublime il mare in tempesta, la vetta remota di una montagna, una musica che ci rapisce per quanto sa essere inavvicinabile. E’ bello un gesto che capiamo, è sublime quel modo che osserviamo e non sappiamo spiegare, come venisse da un’identità inaccessibile.
Mentre la bellezza ritrova ciò che si è vissuto, le misure e l’armonia che si conoscono; il sublime disorienta, quasi a paralizzare, per tanto è sproporzionata, incommensurabile, inimmaginata e sconcertante l’esperienza percepita. Il bello è partecipazione attiva, il sublime è sudditanza rispettosa di fronte allo spettacolo.
Se il bello ritrova i valori di misura e armonia che ci appartengono, il sublime contempla uno spettacolo che entra in conflitto con il nostro pensiero. Il bello è lo spettacolo di una forma, il sublime è lo spettacolo dell’infinito.
Di fronte al bello ci si sente confermati nelle proprie qualità, ci si sente attivi. Di fronte al sublime, con la sua incommensurabilità, ci si sente sudditi, sottomessi, minimi. Ma anche ammaliati e incantati, perché spettatori di qualcosa che supera i limiti del percepito. Attraverso l’esperienza del sublime la vita e la natura sono avvicinante nella loro possibilità illimitata, rivelando il loro potenziale. Così il sublime è il sentimento del rapporto tra la propria finitezza con ciò che è ci eccede, ma che pur possiamo avvertire, grati. Forse il vissuto del sublime è la dimensione laica del sentimento del divino. Perché nel sublime, come nel religioso, quel che avviene è il riscatto del limite nell’immenso.