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GianMaria Zapelli elsewhere

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L’attrazione della sudditanza psicologica

L’attrazione della sudditanza psicologica

Negato, rifiutato, biasimato, lo stato di sudditanza relazionale apparirebbe una condizione psicologica da avversare, la perdita insostenibile della propria libera autodeterminazione. Senonché, la narrazione che alimenta la descrizione di sé, e di ciò in cui si crede, si svolge su un piano, quello della coscienza, sotto il quale si muovono celate anche altre traiettorie a guidare bisogni e scelte. Traiettorie che non vengono incluse nella narrazione identitaria, perché costringerebbero al disagio di dover riconoscere aspetti di sé meno lodevoli.

Lo stato di sudditanza, che riguarda il modo di essere in relazione con gli altri e le esperienze che si vivono, è caratterizzato da una precisa perdita. Sudditanza non significa schiavitù. Non si perde ogni forma di libertà, non si subisce una carcerazione che impedisce scelte e iniziative. Lo specifico della sudditanza è di non sentirsi artefici delle regole e dei vincoli a cui ci si assoggetta con le proprie azioni. Un asservimento a limiti e confini senza credersi, o esserne stati, autori corresponsabili.

È dunque facile osservare il rifiuto, l’ostilità verso la sudditanza, l’avversione verso persone o istituzioni che esigono leggi nelle quali non ci si riconosce come comprimari. E non raramente è una resistenza necessaria.

Senonché si potrebbero omettere ragioni che muovono il proprio mondo psicologico, se si rimanesse alla scena rassicurante di credere che la propria libertà di autodeterminarsi venga minacciata solo da un mondo esterno che vorrebbe imporre regole e vincoli.

Invece sono presenti nella sudditanza ingredienti psicologici vantaggiosi e persino convenienti. Limitarsi a eseguire, senza soffermarsi su quanto ci sia impegnati nel determinare le regole, consente una forma di libertà. È la libertà della leggerezza, esentati dalla fatica di scegliere, di interrogarsi su come si stia concorrendo al significato di un limite o di un dovere, che comporta incertezza, dubbi e soprattutto responsabilità. Convinti di eseguire un ordine si ottiene anche la rassicurante convinzione di non sentirsi complici delle regole a cui ci si è attenuti.

L’opposto della sudditanza non è la ribellione ostile e arrabbiata, che della sudditanza conserva lo stesso rifiuto ad assumersi la responsabilità delle regole e delle leggi. L’opposto della sudditanza è la cittadinanza, la capacità di riconoscersi nelle regole, lo sforzo di esplorare convivenza e partecipazione, la nobilitazione del legame come opportunità e non come perdita, la capacità di dissenso esplicito e negoziato, piuttosto che il sotterfugio di chi da suddito non cerca responsabilità ma alibi.

Vi sono legami e relazioni amorose di sudditanza e altre di reciproca cittadinanza. Anche con sé stessi, vi sono relazioni di sudditanza, credendosi innocenti per il fatto di essere spontanei e “fatti così” o di cittadinanza, sforzandosi di cambiare i propri vincoli e le proprie mura, che riducono o compromettono la propria bellezza.

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