fbpx
GianMaria Zapelli elsewhere

Un contributo psicologico
per una vita consapevole,
gentile ed etica.

Cerca
Close this search box.
Cerca
Close this search box.

Sulla dolcezza

Sulla dolcezza

La dolcezza è un modo d’agire dotato di una sotterranea ambivalenza. Ancorché goda di vasti apprezzamenti e le persone percepite “dolci” inclinino il cuore al calore, non troviamo la dolcezza annoverata tra le virtù da perseguire, tra le capacità di cui attrezzarsi, tra i modi associati alla possibilità di successo nei propri traguardi. Tant’è che la si nota con piacere e la si gradisce quando la si incontra nelle persone, ma è difficile trovare qualcuno che consideri la dolcezza una capacità di cui intende impossessarsi o irrobustire.

Forse perché viene considerata una caratteristica che non può essere plasmabile con la formazione e l’impegno nel modellarla su di sé, una dotazione inscritta in una componente genetica dell’identità, riposta in modalità che possono solo essere involontarie, perché innate. E vi è del vero, perché la dolcezza è una manifestazione del temperamento, di quella componente della propria personalità che è presente in noi alla nascita, quindi prima degli effetti che poi avranno le esperienze della vita sul nostro mondo cognitivo ed emotivo.

Ma è pur del tutto vero, si vedano le conferme scientifiche che abbiamo dalle neuroscienze, che la nostra mente, se lo volessimo e ci impegnassimo, è in grado, grazie alla sua plasticità, di impossessarsi di comportamenti e modalità che pur non possiede dalla nascita. Si può essere profondamente insicuri, oppure essere esageratamente permalosi, ma abbiamo opportunità neuronali che ci consentirebbero di modificare attitudini che pur ci paiono da sempre inestirpabili. Quindi, anche se la dolcezza in talune persone non ha avuto un’ontogenesi temperamentale,  v’è da chiedersi come mai, pur suscitando tanto apprezzamento, non sia un’aspirazione da aggiungere al proprio bagaglio di capacità, quando si riconoscesse di esserne sprovvisti. Mentre si ammettono i benefici di mutare la propria irascibilità, o la propria timidezza, pur incarnate nelle reti sinaptiche e psichiche, è più raro il desiderio di impegnarsi nel rimuovere la propria freddezza comunicativa.

Forse è nella natura ambivalente della dolcezza, nei moti di tenerezza, premura, accudimento, in sintesi, nella percezione di vulnerabilità che suscita, suscitando protettivi sentimenti materni o paterni. Perché quel che piace e intenerisce della dolcezza non è quel che si desidera per sé. Poiché è imperativo il bisogno psichico di percepire la propria autonomia e indipendenza, la capacità di rimanere integri nell’impatto continuo con la vita e le sue fatiche, senza necessità di accudimento o di protezione. Forse si ama la dolcezza osservandola negli altri, anche perché la sua rotondità arrendevole, il suo miele, consente di rispecchiarsi invece differenti, forti, più forti.

Eppure, sarebbe un mondo più spaventoso se fosse sprovvisto della dolcezza, della sua presenza discreta e benefica, nel trasmettere con garbo che non è necessario opporsi, separarsi, distinguersi, che non è necessario preoccuparsi del proprio io e di quanto sia riconosciuto e affermato, né preoccuparsi di misurare quanto si riceve in cambio, perché la dolcezza è nello sguardo affidato che non cerca conferma, che non teme di aver timore, che vede facilmente la grazia del mondo, la sua vulnerabilità. Perché la dolcezza è la capacità di sentirsi serenamente vulnerabili come lo sono tutti, anche se non lo danno a vedere.

 

 

Potrebbe interessarti
CERCA ANCHE ALTROVE.
Parole per ispirarti
ESPLORA L'ARCHIVIO
Cerca ciò che ti incuriosisce, le idee e le parole per il tuo lessico personale.
PODCAST

Pensieri da ascoltare.

NEWSLETTER

Unisciti anche tu

Ricevi settimanalmente due post per essere anche altrove.

La tua email sarà protetta. Potrai sempre annullare l’iscrizione.
Se vuoi sapere con più precisione come verrà protetta la tua email leggi la privacy policy.