Tutto ciò che siamo lo abbiamo imparato. Ben poco ci appartiene dalla nascita, impiantato nei cromosomi. E quel che abbiamo imparato per diventare la persona che siamo è accaduto in gran parte a nostra insaputa. L’incessante immersione nella vita ha modellato, scolpito, intagliato le nostre paure ed anche il nostro modo di allacciare le scarpe, i modi del nostro sguardo nel raccogliere il mondo intorno e se teniamo oppure no i gomiti sulla tavola. Abbiamo imparato i sentimenti, come stringiamo la mano in un saluto e quello di raccontare un aneddoto.
Sicché, semmai volessimo cercare a fondo chi siamo dobbiamo risalire lungo i sentieri delle nostre esperienze, cercando nei ricordi gli accadimenti, le emozioni, le persone che ci hanno toccati, anche se non ce ne eravamo accorti. Ed è nel presente, partendo dal vedere come siamo oggi che possiamo ricostruire come ci siamo arrivati, ad avere abitudini, sogni, prigioni. Perché è solo dopo, a volte molto dopo, che possiamo comprendere quel che abbiamo imparato. Accanto ai nostri genitori e alle conversazioni che facevano commentando quel che vedevano in tv, oppure nel loro modo di essere rigidi o indulgenti. Possibile che abbiamo imparato preferenze, desideri e sogni anche dai compagni di classe, dalla vita che facevano, da ciò che avevano di più o meno di noi, ammirandoli o detestandoli.
Conoscersi è questa esplorazione nel proprio passato, cercando di connettere tra loro i punti apparentemente scollegati dei nostri modi di essere con ciò che abbiamo percepito, sentito, vissuto. La nostra identità è un puzzle di ingredienti e modi d’essere, sistemare ogni pezzo per avere l’immagine di noi stessi nella sua completezza significa agire da archeologici delle nostre memorie, per scoprire e decifrare pezzo per pezzo nei nostri modi d’essere quando e come lo abbiamo imparato, e ancora non sapevamo che si stava scrivendo il nostro futuro.
PS: Ovviamente non siamo quello che non abbiamo imparato.
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