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GianMaria Zapelli elsewhere

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Le abitudini che preferiamo

Le abitudini che preferiamo

Mi permetto di suggerire una domanda. Prova a chiederti quale sia un tuo sogno, un desiderio che ti sta veramente a cuore, ma che non hai ancora realizzato. Lo hai pensato? Ora chiediti perché, nonostante abbia questo desiderio a cui tieni tanto, non lo hai ancora realizzato come vorresti. Molto probabilmente non perché è impossibile. Più verosimilmente perché ti richiede di perdere o abbandonare qualcosa. Ciò che probabilmente ti richiede è il coraggio di abbandonare un’abitudine, che ti sta ostacolando nel realizzare il tuo desiderio. Può essere una paura (anche le paure sono abitudini), un legame, un modo di vivere, oppure un’altra abitudine che ti appartiene.

L’identità è in gran parte la ripetizione di abitudini, solo in piccola parte è scoperta e cambiamento.

Neurologicamente significa che nelle scelte, nei modi di agire, nelle ripetizioni spontanee della nostra identità siamo l’espressione biologica delle strutture neurosinaptiche che si sono formate e plasmate nella nostra mente. Le abitudini sono corpo, sono neuroni e sinapsi che producono automaticamente chi siamo.

E quando si produce un circuito neuronale che ci ha resi spontanei in un modo di essere (abitudinari), ciò che la nostra mente considera vitale è scoraggiarci in ogni modo nel produrne un cambiamento. Come considerasse queste strutture delle fondamenta interrate profondamente e fosse convinta che danneggiarle causerebbe un crollo dell’edificio che vi è costruito sopra.

Così accade che siamo eccessivamente pignoli e ci convinciamo che se perdessimo questa inclinazione ossessiva ed esagerata danneggeremmo i risultati che abbiamo ottenuto, sicuri che siano merito della nostra pignoleria. Oppure siamo abituati ad essere diffidenti e ci convinciamo che recedere dalla nostra diffidenza ci esporrebbe a danni che abbiamo evitato grazie ad essa. O ancora siamo eccessivamente aggressivi, e all’idea di diventare più morbidi ci assale il timore di perdere grinta e capacità di realizzare i nostri traguardi. In breve a volte si teme che perdere le nostre pessime abitudini causi la perdita di ottimi risultati che si stanno ottenendo, credendo che dipendano da esse.

Il fatto è che la nostra mente non va per il sottile, prende l’abitudine che abbiamo imparato e la difende a scatola chiusa, convinta che anche un solo mutamento di essa possa far cadere l’intero palazzo della nostra identità. Perché la nostra mente non considera in alcun modo che le nostre abitudini le abbiamo imparate e contratte dalle nostre esperienze, che non ci siamo nati, che sono il prodotto accidentale di quel che abbiamo vissuto. La nostra mente non considera che come abbiamo imparato inefficaci abitudini nelle esperienze vissute, potremmo impararne di nuove attraverso esperienze differenti. La nostra mente, il nostro inconscio, difende le abitudini per il solo fatto che sono abitudini, senza considerare più di tanto la loro validità e le loro origini. Difende le abitudini perché la sua logica è semplice: ciò che fai abitualmente lo conosci e sai già cosa ti attenderà e siamo perciò preparati. L’ignoto potrebbe essere peggio, meglio starne alla larga.

Qui abbiamo dunque uno dei dilemmi più impegnativi della nostra esistenza: quanto coraggio e forza di volontà ci occorrono per abbandonare abitudini che la riflessione ci fa riconoscere malfatte? Poiché questo è il cambiamento più impegnativo, saper abbandonare, sapersi separare da ciò che a cui siamo abituati, modi di pensare, di agire o di sentire che ci appartengono e che frequentiamo da tempo come un amico caro, imperfetto e anche un po’ cialtrone, ma ciò nonostante abbiamo imparato a volergli bene. E, soprattutto, temiamo di rimanere smarriti e soli se ci lasciasse.

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