Un’esperienza ci rende umani, diversi da ogni altra esistenza sul pianeta, dialogare con noi stessi, poter considerare quel che proviamo, le emozioni che ci toccano e i pensieri a cui ci affidiamo. Non è solo avere un timore, ma chiederci perché. Non è solo sentire un dolore, ma chiederci se è possibile che sia diverso. Come non è solo sentici inadeguati, ma chiederci dove possiamo trovarvi un beneficio.
Certo, ne possiamo fare a meno, di riconsiderare quel che ci attraversa, perché tanto è così, perché non è indispensabile e potrebbe non servire dialogare con se stessi. Potremmo fermarci dove siamo, nella stanza delle nostre emozioni, con l’ansia che ci prende, l’insoddisfazione che ci tormenta, il desiderio che ci trascina. Potremmo e probabilmente non ne guadagneremo in felicità.
Ma non è lo stesso patire un disagio, essere afflitti da un malessere, rimanendone vittime, sentirlo impossessarsi dei nostri pensieri, dirottare le nostre volontà, stremare le nostre speranze. Dall’affrontarlo dietro le quinte, comprenderne le ragioni e le origini, per scoprire che, forse, lo possiamo guardare in faccia con la sicurezza di chi ha capito, di chi sa darsi una ragione e forse anche direzione. Non per dissolvere e annullare il dolore, perché probabilmente il dolore non scompare, rimane lì. Ma siamo noi a essere diversi, dopo aver parlato a noi stessi con le domande giuste che abbiamo avuto desiderio e volontà di affrontare, dopo aver riconosciuto le cicatrici, dopo aver intercettato i pensieri approssimativi, le facili conclusioni. Il disagio rimane, la fitta non passa, ma è una presenza che conosciamo meglio.
Poche cose aiutano il sentimento di avere in mano la propria vita come la conoscenza. Poiché sono i perché a cui cerchiamo di rispondere, senza mai accontentarci delle riposte che abbiamo già trovato, che ci rendono autori della nostra vita.