Essere devoti a qualcosa suona di antico, di modi superati, in questo mondo dove il divino è ridotto al religioso.
La devozione è una passione profonda e gentile, è la dedizione a un legame di cui si ha necessità per averne ispirazione e significati. Che sia verso un creatore trascendente, oppure verso la persona che si ama, o ancora verso i figli, ma potrebbe essere anche verso i propri ideali o verso una persona modello, la devozione non è solo amore, neppure sola ammirazione. Il sentimento della devozione riconosce del divino e se ne fa apostolo.
E’ dunque una capacità. Per poter esistere nel cuore il sentimento del divino, ovunque lo si trovi, occorrono insieme il sentimento della finitudine, della carenza, e quello della riconoscenza, della gratitudine. Attraverso la devozione si mettono radici alla propria incompletezza, grazie a un impegno ad essere che trova in qualcosa o qualcuno ispirazione e luce. Siamo devoti e troviamo una strada, una ragione, una continuità che ci indirizza nel cercare di essere migliori.
Una caratteristica essenziale della relazione di devozione è la durata. Il nascere di una devozione ci congiunge a qualcosa che sta oltre noi stessi, che viviamo necessario, a cui ci affidiamo con il nostro impegno e la nostra attenzione, e che ci attendiamo non scompaia mai, che sia per sempre. La devozione ci insegna l’illimitato, una relazione senza fine con le cose. Ci insegna anche l’eternità.
Essere capaci di devozione è impegnativo, perché richiede di accordarsi con la propria fragilità e la capacità di gratitudine, per scegliere chi o cosa rendere divino ai nostri occhi. Tanto da generare in noi rispetto, attenzione, impegno e fedeltà.
Avere in noi della devozione è una disciplina, perché ci allena e ci aiuta ad essere costanti e meticolosi nell’amare, nel saper far durare i legami attraverso la continuità della nostra attenzione e della nostra cura.
Vi è il rischio che il nostro bisogno di devozione si rifugi in cose minori, in un quotidiano privo di sogni, ideali e divino. Vi è il rischio che le nostre devozioni si accontentino di oggetti, persone, routine e passioni che non ci spingono verso il divino, inteso come ciò è più lontano da noi, tanto lontano da essere ciò a cui più aspiriamo ad essere vicini. Vi è il rischio di accontentarci di una devozione modesta, ritirata dentro sogni che non ci consentono più di immaginare nuovi mondi e nuove società: una piccola devozione domestica, che non esce più di casa.