Nel rapporto con la felicità delle persone con le quali non si hanno legami affettivi un solco distingue due modi d’essere dell’animo. Tra chi sa provare una sincera gioia quando percepisce le occasioni nelle quali gli altri vivono esultanza, piacere, o soddisfazione, pur se sono persone con le quali non si sono costruiti legami d’affetto: il vicino di un viaggio in treno che ci racconta di sua figlia che si è laureata, l’occasionale conversazione in un bar o con il collega che si frequenta poco. E vi è chi, invece, osservando o ascoltando la felicità di un’altra persona rimane tiepidamente contagiato, se non indifferente, come non lo riguardasse quella felicità di cui è spettatore accidentale.
Gioire della gioia degli altri non è un gesto di generosità, non riguarda una disposizione alla gentilezza, anche se gentile condividere empaticamente il sentimento di felicità che ci viene raccontato. Emozionarsi della felicità altrui dilata il proprio universo emotivo. Accorgersi della felicità che vivono gli altri, e immedesimarsi in essa, è una corroborante ginnastica espansiva, perché consente al cuore di vivere e imparare la gioia. Soprattutto quando le esperienze e le ragioni della gioia che vivono gli altri sono lontane e differenti dalle ragioni e dalle esperienze che in noi sarebbero motivo di gioia. Gioire di una gioia diversa dalla nostra ci rende capaci di una gioia più vasta e più accurata, ci educa alle possibilità della gioia.
Di altra pasta chi si trattiene, contratto in una comunicazione che mai si lascerebbe andare a un sorriso elettrizzato di partecipazione all’altrui gioia. Chi si stupisce della gioia degli altri non sapendovi trovare comprensibili ragioni. Chi, stretto in un sudario emotivo, non riesce a scaldarsi, ma tratta con sufficienza la felicità che gli passa vicina. Sono modi a cui la mente fa trovare ottime ragioni per starsene lontana e per risparmiarsi, per guardare alla gioia degli altri con distacco e sufficienza. S
enonché sono ragioni nutrite da un cuore pietrificato dal timore, di scoprire nella gioia degli altri le proprie incapacità e un cambiamento di cui non si ha il coraggio.
