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GianMaria Zapelli elsewhere

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Il martire che vi è in noi

Il martire che vi è in noi

Più frequentemente di quanto possa sembrare il martirio è una modalità ricorrente e non sempre beneficamente.

Prima di provare ad estrarne le caratteristiche, va ricordato che ancorché la parola evochi la sofferenza e il dolore patiti per dedicarsi a un ideale, raramente i martiri si riconoscono attraverso questa prospettiva, perché la loro dedizione a un valore, a un’ideale, al punto da essere disponibili a sacrificarsi, viene vissuta con passione, entusiasmo, gioia. Nel gesto del martire prevale il desiderio di realizzare sé stessi e ciò in cui si crede. Perciò il martirio è un riconoscimento, una celebrazione ex-post da chi ne ha visto il sacrificio.

Ma vi sono anche martiri disfunzionali, che ricorrono alla strategia martirologica in assenza di valori, di ideali, di motivazioni etiche. In alcuni casi è persino presente una rivendicazione di riconoscimento verso il proprio martirio. Al che la reazione degli altri: “Dai, non fare il martire.” Martiri che sacrificano sé stessi non perché hanno nitida una missione di liberazione, di evoluzione, ma probabilmente perché loro martirologia consente di proteggere una fragilità.

Districando il tessuto che compone un martirio è possibile trovare tre caratteristiche.

  1. Come detto, la scelta di dedicarsi a un valore, la cui affermazione subordina ed esclude parti di sé importanti, sino alla propria stessa vita.
  2. Un’altra caratteristica del martirio, conseguenza di una scelta così totalizzante, è l’indeformabilità, l’inflessibilità, necessarie quando la propria scelta entra in opposizione con altri potenti bisogni personali, come la sopravvivenza.
  3. Una terza caratteristica è la semplificazione. Una matrice psicologicamente attrattiva nei casi disfunzionali, ovvero quando il martirio perde la sua vocazione ideale ed etica. La mancanza di varietà e polifonia del martirio, che porta a identificarsi radicalmente in una scelta, è una fissazione necessaria per non retrocedere da un valore, da un ideale. Ma consente altri benefici quando ci si martirizza in un lavoro o in una relazione ormai danneggiata, reiterando un sacrificio di sé e la rinuncia ad altre esperienze possibili.

Nel rinchiudersi in un mondo totalizzante, incarcerati in un lavoro che ha vampirizzato il tempo e la vita, o in un legame che ha vampirizzato la felicità, si ottiene un beneficio psicologico che si è disposti a pagare con il prezzo del disagio o della sofferenza del martirio. È il beneficio di non affrontare e gestire la pluralità disordinata e sfuggente della propria identità, dei propri desideri. Nell’atteggiamento semplificatore del martirio ci si consegna a una scelta, sottraendosi alla dialettica con le altre parti di sé, con il proprio mondo interiore intricato e opaco. Psicologicamente nel martirizzarsi si può starsene alla larga dalla fatica di essere totalmente, preferendo occupare totalmente la propria identità di pochi contenuti. Tra la fatica di dare voce a tutto ciò che si può essere e la fatica di essere tutto in poco l’inconscio sovente preferisce la semplificazione.

 

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