La differenza tra essere ottimisti o pessimisti non riguarda chi abbia più ragione nel vedere e comprendere la realtà. Perché tutto ciò che possiamo dire della realtà è sempre e inevitabilmente quel che ne possiamo dire noi, al massimo insieme ad altri che vedono lo stesso. In altre parole, non vi è realtà se non quella che pensiamo, percepiamo, interpretiamo, dunque quella nella nostra mente.
Inoltre, ottimismo e pessimismo raramente sono sguardi che totalizzano ogni giudizio che si ha della vita. Più frequentemente si è localmente ed episodicamente ottimisti, oppure pessimisti. La differenza è dunque tra chi è più frequentemente ottimista e chi più frequentemente pessimista.
Il dominio esistenziale dell’ottimismo e del pessimismo non è la verità, ma il sentimento del futuro, il modo con cui viene interpretato e previsto lo svolgimento del futuro, quando è ancora ignoto e possiede alternative.
Il futuro che si trova nell’ottimismo e nel pessimismo scaturisce da quel che si è imparato nella vita, dalla combinazione di dolore e gioia che la mente ha memorizzato delle esperienze, trasformandole poi in rappresentazioni del futuro.
Maggiore è la memoria psicologica di esperienze dolorose, più ampliata sarà la propensione, per lo più inconsapevole, a proteggersi nel futuro da eventi simili, anche solo lontanamente simili.
Il pessimismo si palesa come una strategia di difesa che agisce generalizzando il futuro, generalizzando il dolore vissuto ed estendendolo come certa ripetizione nel futuro, in tutte le situazioni nelle quali vi sia una pur labile analogia con le ferite già vissute.
Sicché le ferite di una fiducia non ricambiata, come, ad esempio, di un amore conclusosi con molta sofferenza, possono produrre un futuro generalizzato, nel quale sia inevitabile l’essere nuovamente traditi nella fiducia. Una predisposizione che indurrà ad affrontare con cautela, se non resistenza, ogni nuovo innamoramento. O ancora, ferite relazionali della propria autostima che producono una difesa – pessimistica – che interpreta genericamente il mondo degli altri come incline ad essere ingrato, verso cui quindi essere prudenti, protetti dalla possibilità che si replichi la ferita già vissuta.
Anche ciò che caratterizza un atteggiamento ottimista è memoria dell’esperienza. Senonché la differenza è nella carenza di difese preventive. Essere ottimisti significa affrontare esperienze che non hanno avuto nel passato analogie dolorose, tali da aver creato difese cautelative nel mettere le mani avanti. L’atteggiamento ottimista è dunque meno selettivo e generico, meno compromesso da ferite che rendono proiettano in ciò che che si vive un potenziale pericolo.
Anzi, ha accumulato conferme verso modi di essere meno protetti, fiduciosi, aperti e generosi. Così nel sentimento ottimista troviamo più facilmente un pensiero che non generalizza, che non ha bisogno di raccogliere in modo sommario e totalizzante la realtà, per raffigurarla negativamente o pericolosamente. Lo stato d’animo ottimista ha meno bisogno di assolutizzare e di semplificare, più libero da ferite vissute, è più capace di distinguere e differenziare ciò che vive, in gradazioni di meglio o peggio, di facile o difficile, di giusto o sbagliato.
Per questo è tanto difficile una conversazione tra ottimisti e pessimisti, perché la loro distanza non riguarda i fatti che si osservano, ma come il passato ha predisposto in modo radicalmente differente, e sovente inconsapevolmente, il loro sguardo e il loro futuro.